Pregare oggi

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Giulio Brot intervista Mons. Bruno Forte

L’Eco di Bergamo

Almeno apparentemente, oggi si fa fatica a pregare; però sembra anche di intravedere, in molti, una nostalgia della preghiera, il desiderio di esserne nuovamente capaci.

«Io partirei da un'idea di cui sono profondamente convinto: la preghiera, prima di essere un nostro ato di invocazione o espressione di riconoscenza verso Dio, consiste nel lasciarci amare da Lui, e in quanto tale risponde al nostro profondissimo desiderio di sentirci avvolti dal Suo amore. Chi prega lascia aperto uno spazio per Dio, perché possa raggiungerci e rinnovarci. In questo senso, ovunque rimanga vivo il bisogno di un contato profondo con il Trascendente (la nostalgia del "Totalmente Altro", per usare l'espressione a cui ricorrevano i filosofi Max Horkheimer e Theodor Adorno), si avverte anche la necessità della preghiera. Questa esigenza è assai diffusa, nel nostro tempo; in alternatva al termine "preghiera", potremmo parlare del bisogno di pervenire a un'esperienza di "riconoscimento-riconoscenza" nei riguardi del Trascendente. Questa aspirazione può assumere forme molto diverse: già sant'Alfonso Maria de' Liguori – grande maestro della fede e della spiritualità catolica – sosteneva che “chi soffre molto e bestemmia sta dicendo le litanie” e Martn Lutero riteneva che “le imprecazioni degli empi hanno alle orecchie di Dio un suono più gradevole che l’alleluia della gente per bene”. La preghiera, insomma, può andare al di là delle sue forme canoniche, può talvolta assumere aspetti e linguaggi che appaiono paradossali, e che però testmoniano dell'esigenza umana di incontrare Dio».

Vogliamo prendere in esame alcune «obiezioni» alla pratica della preghiera? Si dice, per esempio, che il chiedere qualcosa a Dio andrebbe a detrimento della nostra autonomia e dignità.

«Questa obiezione mi pare muova dalla concezione – tipicamente moderna – per cui il soggeto umano dovrebbe divenire artefice di sé stesso, senza sottostare ad alcun limite. La preghiera dà voce, al contrario, alla nostra indigenza e fragilità: guai se non fosse così, guai se ci considerassimo dei superuomini. Un'onesta rifessione sulla condizione umana dovrebbe portarci a riconoscere che tutti noi siamo bisognosi di entrare in relazione con Dio, e in partcolare con quel volto del Dio-Amore che Gesù ci ha rivelato».

Anche da parte di alcuni catolici, si sente dire che la preghiera sarebbe «un di più», perché il Signore «saprebbe già di che cosa abbiamo bisogno», anche senza che glielo chiediamo esplicitamente. La qualità della vita cristana – aggiungono queste persone - si deciderebbe altrove: nell'onestà della condotta quotidiana, nella disponibilità verso il prossimo…

«Rispetto a considerazioni di questo tipo, ci si potrebbe domandare perché gli innamorati siano soliti ripetersi a vicenda, più e più volte, l'espressione "ti amo". In questo caso non vale un discorso di tipo contabile, ispirato al principio del "do ut des" e alla ricerca dell'utlità pratca. Lo stesso si può dire del nostro rapporto con Dio, atraverso la preghiera: in tutte le sue manifestazioni, questa è comunque un'espressione del cuore dell'uomo, che si rivolge all'Amato. Al di là delle sue deformazioni e caricature, la preghiera in senso proprio non si lascia ridurre a una relazione d'interesse, come l'obiezione che lei ha riportato sembra invece presupporre. Anche pregare il Padre perché ci dia il nostro pane quotdiano – come ci ha insegnato a fare Gesù – è un modo per esprimergli il nostro amore, nel mentre ci sentamo amati».

In una sua «Lettera sulla preghiera», facilmente reperibile anche in Internet, lei si sofferma sulla questione della «notte oscura» a cui talvolta va incontro chi prega. San Bernardo di Clairvaux, in una pagina di sapore autobiografco, scriveva di «non trovare più gusto nel recitare i Salmi» e che «la preghiera aveva perso per lui il suo incanto»; in epoca più recente, Madre Teresa di Calcuta raccontava che per un lungo periodo il Cielo le era sembrato «un luogo vuoto». Che cosa dovrebbe fare, chi si trova a sperimentare questa aridità interiore?

«Per prima cosa, dovrebbe tener presente che non è solo in tale situazione. Tutti, in determinati momenti e con maggiore o minore intensità, facciamo fatica a pregare, perché il dialogo con Dio richiede una perseveranza che non sempre riusciamo a mantenere. Tuttavia, quando riusciamo a vincere il nostro orgoglio e a perseverare umilmente nell'attesa che Dio ci mostri la Sua misericordia, allora la preghiera rivela la sua capacità di sanare le nostre ferite e di rendere maggiormente "umana" la nostra vita. Chi prega non diventa meno uomo; al contrario, la preghiera ci "umanizza" e al tempo stesso – come erano soliti dire i Padri della Chiesa – ci "divinizza"».

Riguardo alle formule di preghiera della tradizione cristana, dal «Padre nostro» all'«Eterno riposo»: si ha l'impressione che oggi non risultino più così familiari alle nuove generazioni. È una perdita grave, questa, o si potrebbe comunque ricorrere a «preghiere spontanee»?

«Io credo che il fatto di rivolgersi al Signore con formule tradizionali abbia valore se le parole corrispondono alle intenzioni del cuore. Certamente, in alcuni momenti, si sente il bisogno di rivolgersi a Dio con immediatezza, spontaneità e parole sciolte; però è bello pregare anche secondo con le parole che Gesù ci ha insegnato – il "Padre nostro" – o che la fede della Chiesa ha trasmesso fno a noi, lungo i secoli. In ogni caso, la questione non verte sulle parole in sé, ma sul modo in cui noi le pronunciamo. Se io dico: "Padre nostro, che sei nei cieli" e unisco a ciò che sto recitando un senso di abbandono fliale, di adorazione umile nei riguardi del Padre di Gesù Cristo e mio, Dio dell'universo, la mia preghiera risulta pienamente autentica, per quanto l'abbia ripetuta migliaia di volte nel corso della mia vita».

Lei diceva che l'ato della preghiera non ci rende «meno uomini». Nella Bibbia – nel Libro dei Salmi e non solo – troviamo preghiere che coprono tutti gli aspetti dell'esperienza umana, dalla gioia alla desolazione, dalla speranza all'angoscia. Forse varrebbe la pena di rileggerle, in modo da andare oltre una visione un po' smielata, da «immagineta» della preghiera?

«Io augurerei a tutti di poter praticare una preghiera profondamente biblica, liturgica ed ecclesiale. In primo luogo "biblica", e cioè ponendosi in ascolto della parola di Dio, nutrendosi di essa e facendo proprie le espressioni di invocazioni e di lode che la Bibbia usa. Sant’Agostno, circa la lettura dei testi biblici, affermava: “Dalla cità celeste il Padre nostro ci ha inviato delle lettere, ci ha fatto pervenire le Scritture, onde accendere in noi il desiderio di tornare a casa” (Commento ai Salmi, 64, 2-3). In secondo luogo, vi è una dimensione liturgica della preghiera: la partecipazione alla Messa rappresenta il culmine della vita di fede per chi è stato battezzato e ha ricevuto in sé lo Spirito Santo. Infne, vi è una preghiera "nella" e "della" Chiesa, per cui ognuno può farsi portavoce insieme ai suoi fratelli dei bisogni di tuto il popolo di Dio e dell'umanità intera».