Lavoro e dignità

lavoro dignita 

 

Lavoro e dignità: diamo ai giovani l’attenzione che meritano

(Il Sole 24 Ore, Domenica 18 Dicembre 2016, 1 e 27)

di
Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti-Vasto

“Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi”: mi sembrano di un’impressionante attualità queste parole del profeta Isaia (40, 30s), rivolte a un popolo che - provato dall’esperienza dolorosa dell’esilio - cominciava a rialzare la testa per guardare avanti e fare progetti con la speranza che gli veniva dalla fede nel suo Dio, salvatore e amico degli uomini. Gli anni della crisi economica e finanziaria, che ha investito l’intero “villaggio globale”, non sono del tutto alle spalle: dire che siamo usciti da quella sorta di “esilio”, che ci ha fatto lasciare possibilità, presunzioni e pretese scontate fino a pochi anni fa, sarebbe falso. Non si può negare, tuttavia, che alcuni segnali di ripresa si affacciano sui vari orizzonti della nostra convivenza civile. In questo quadro di transizione, su cui le incertezze del domani continuano a pesare e le possibilità di rinascita appaiono ancora limitate, un’attenzione speciale meritano i giovani, non a caso la categoria che più di altre ha detto “no” al recente referendum, forse più per esprimere protesta e disagio per la mancanza di lavoro e di spazi vitali di espressione, che non in merito alla stessa proposta di riforma costituzionale. Riflettere sulla condizione giovanile oggi in Italia è premessa necessaria per fare il punto sul nostro presente e tracciare la via da percorrere al servizio del bene di tutti. Sono i giovani a segnare la soglia critica con cui anche il nuovo governo della Repubblica dovrà fare i conti e con cui tutti, in forme e misure diverse, dovremo comunque misurarci. La prima sfida che le giovani generazioni lanciano alla società civile e alle istituzioni politiche e sociali del Paese è quella del lavoro: la percentuale della disoccupazione giovanile resta a livelli preoccupanti. Si allarga la fascia dei cosiddetti “Neet” - “Not (engaged) in Education, Employment or Training", persone non impegnate nello studio, nell’impiego o nella formazione (gli stessi che nelle vastissime aree di lingua spagnola vengono chiamate i “Nini”, gente che “ni trabaja, ni estudia, ni recibe formación”, “non lavora, non studia né riceve formazione”). A un numero molto elevato di giovani è negato non solo il futuro, ma anzitutto un presente che sia all’altezza della dignità dell’essere umano: persone giovani di età, in astratto ricche di potenzialità, si trovano a sciupare i loro giorni senza prospettive, spinti dalla noia del vuoto a cercare evasioni o stordimenti illusori, del tutto incapaci di alleggerire il peso di vivere. Il lavoro - l’attività umana, cioè, rivolta alla trasformazione del presente in rapporto alla progettualità della persona ed alla crescita della comunità (cf. l’Enciclica di Giovanni Paolo II Laborem exercens, del 14 settembre 1981) - non è un “optional” di cui si possa fare a meno. Esso è necessario nel triplice aspetto in cui lo si può sperimentare: in quanto “produzione”, e cioè azione con la quale la persona interviene sulla trasformazione della realtà per conformarla al suo progetto di autorealizzazione e di intervento nel mondo; in quanto “fatica”, e dunque superamento della resistenza, che nel mondo dei rapporti interpersonali mette l’attività lavorativa sempre a rischio di dipendenza e di sfruttamento; in quanto “esercizio di responsabilità”, vissuto in vista di una partecipazione attiva e consapevole di ciascuno alla costruzione della casa comune e nella solidarietà verso i più deboli. Chi non ha lavoro sperimenta un senso d’inutilità, di vuoto e di alienazione, che rischia di minare alla base l’equilibrio personale e l’amore alla vita e al prossimo. Di fronte a questa situazione, non solo i responsabili della vita politica, ma ognuno che ne abbia la sia pur minima possibilità deve contribuire a creare lavoro. Appare in questa luce evidente l’immoralità di comportamenti - purtroppo diventati frequenti nel recente passato - come quello delle delocalizzazioni delle aziende, motivate dalla ricerca di condizioni il più possibile vantaggiose per le imprese, anche se a danno dell’occupazione. Contemporaneamente allo sforzo per creare lavoro, la sfida richiesta dall’attuale situazione dei giovani in Italia (e non solo) è anche quella di riconoscere loro il diritto al rispetto della loro dignità e alla partecipazione creativa ai processi decisionali nella vita familiare, nelle comunità formative e nella vita sociale e politica: occorre ascoltare i giovani, creando spazi in cui la loro parola abbia piena libertà di espressione e possibilità di recezione attenta ed efficace. Da destinatari a soggetti e protagonisti delle scelte che si operano nei loro confronti: tali vanno considerati i giovani nei programmi di medio e lungo termine che li riguardano. Perché questo avvenga è necessario investire al massimo nella formazione e nell’offerta di possibilità, che aiutino i giovani a crescere in apertura mentale, conoscenza e passione per la vita e per il bene comune. È qui che s’inserisce una considerazione a mio avviso oltre modo importante: e cioè che la vita spirituale dei giovani sia considerata, accompagnata e nutrita nel modo più accurato possibile. Accendere nel cuore di un giovane il desiderio del bene, educare l’affettività e formare all’amore vissuto anzitutto come dono di sé, alimentare nei cuori dei nostri ragazzi il desiderio di Dio e l’amicizia con Lui, nutrita di familiarità con le Sacre Scritture e di orizzonti attenti ai bisogni dei più deboli nell’orizzonte del Paese e della mondialità, è sfida che dovrebbe riguardare tutti, non solo i credenti. Su questa forma concreta di servizio ai giovani avevano scommesso uomini come Giovanni Paolo II con le Giornate Mondiali della Gioventù e il Card. Carlo Maria Martini con la sua Scuola della Parola: esempi di persone che hanno varcato la soglia della morte, ma il cui messaggio è quanto mai vivo e attuale. La riflessione sulla condizione dei giovani oggi stimola tutti noi a trovare per il nostro presente vie analoghe a quelle che loro tentarono, nuove in rapporto ai cambiamenti intercorsi, ma fedeli alla stessa volontà di amare i giovani e di aiutarli ad agire da protagonisti liberi e consapevoli di un domani migliore per tutti. Anche per questo Papa Francesco ha deciso di dedicare ai giovani il Sinodo dei Vescovi, che si comincia a preparare. È più che mai l’ora di prestare attenzione ai giovani e di un nuovo, generoso e appassionato impegno con loro e per loro. 

 

“Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano

nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza

stancarsi”: mi sembrano di un’impressionante attualità queste parole del profeta Isaia (40, 30s),

rivolte a un popolo che - provato dall’esperienza dolorosa dell’esilio - cominciava a rialzare la testa

per guardare avanti e fare progetti con la speranza che gli veniva dalla fede nel suo Dio, salvatore e

amico degli uomini. Gli anni della crisi economica e finanziaria, che ha investito l’intero “villaggio

globale”, non sono del tutto alle spalle: dire che siamo usciti da quella sorta di “esilio”, che ci ha

fatto lasciare possibilità, presunzioni e pretese scontate fino a pochi anni fa, sarebbe falso. Non si

può negare, tuttavia, che alcuni segnali di ripresa si affacciano sui vari orizzonti della nostra

convivenza civile. In questo quadro di transizione, su cui le incertezze del domani continuano a

pesare e le possibilità di rinascita appaiono ancora limitate, un’attenzione speciale meritano i

giovani, non a caso la categoria che più di altre ha detto “no” al recente referendum, forse più per

esprimere protesta e disagio per la mancanza di lavoro e di spazi vitali di espressione, che non in

merito alla stessa proposta di riforma costituzionale. Riflettere sulla condizione giovanile oggi in

Italia è premessa necessaria per fare il punto sul nostro presente e tracciare la via da percorrere al

servizio del bene di tutti. Sono i giovani a segnare la soglia critica con cui anche il nuovo governo

della Repubblica dovrà fare i conti e con cui tutti, in forme e misure diverse, dovremo comunque

misurarci.

La prima sfida che le giovani generazioni lanciano alla società civile e alle istituzioni

politiche e sociali del Paese è quella del lavoro: la percentuale della disoccupazione giovanile resta

a livelli preoccupanti. Si allarga la fascia dei cosiddetti “Neet” - “Not (engaged) in Education,

Employment or Training", persone non impegnate nello studio, nell’impiego o nella formazione (gli

stessi che nelle vastissime aree di lingua spagnola vengono chiamate i “Nini”, gente che “ni trabaja,

ni estudia, ni recibe formación”, “non lavora, non studia né riceve formazione”). A un numero

molto elevato di giovani è negato non solo il futuro, ma anzitutto un presente che sia all’altezza

della dignità dell’essere umano: persone giovani di età, in astratto ricche di potenzialità, si trovano a

sciupare i loro giorni senza prospettive, spinti dalla noia del vuoto a cercare evasioni o stordimenti

illusori, del tutto incapaci di alleggerire il peso di vivere. Il lavoro - l’attività umana, cioè, rivolta

alla trasformazione del presente in rapporto alla progettualità della persona ed alla crescita della

comunità (cf. l’Enciclica di Giovanni Paolo II Laborem exercens, del 14 settembre 1981) - non è un

“optional” di cui si possa fare a meno. Esso è necessario nel triplice aspetto in cui lo si può

sperimentare: in quanto “produzione”, e cioè azione con la quale la persona interviene sulla

trasformazione della realtà per conformarla al suo progetto di autorealizzazione e di intervento nel

mondo; in quanto “fatica”, e dunque superamento della resistenza, che nel mondo dei rapporti

interpersonali mette l’attività lavorativa sempre a rischio di dipendenza e di sfruttamento; in quanto

“esercizio di responsabilità”, vissuto in vista di una partecipazione attiva e consapevole di ciascuno

alla costruzione della casa comune e nella solidarietà verso i più deboli. Chi non ha lavoro

sperimenta un senso d’inutilità, di vuoto e di alienazione, che rischia di minare alla base l’equilibrio

personale e l’amore alla vita e al prossimo. Di fronte a questa situazione, non solo i responsabili

della vita politica, ma ognuno che ne abbia la sia pur minima possibilità deve contribuire a creare

lavoro. Appare in questa luce evidente l’immoralità di comportamenti - purtroppo diventati

frequenti nel recente passato - come quello delle delocalizzazioni delle aziende, motivate dalla

ricerca di condizioni il più possibile vantaggiose per le imprese, anche se a danno dell’occupazione.

Contemporaneamente allo sforzo per creare lavoro, la sfida richiesta dall’attuale situazione

dei giovani in Italia (e non solo) è anche quella di riconoscere loro il diritto al rispetto della loro

dignità e alla partecipazione creativa ai processi decisionali nella vita familiare, nelle comunità

formative e nella vita sociale e politica: occorre ascoltare i giovani, creando spazi in cui la loro

parola abbia piena libertà di espressione e possibilità di recezione attenta ed efficace. Da destinatari

a soggetti e protagonisti delle scelte che si operano nei loro confronti: tali vanno considerati i

giovani nei programmi di medio e lungo termine che li riguardano. Perché questo avvenga è

necessario investire al massimo nella formazione e nell’offerta di possibilità, che aiutino i giovani a

crescere in apertura mentale, conoscenza e passione per la vita e per il bene comune. È qui che

s’inserisce una considerazione a mio avviso oltre modo importante: e cioè che la vita spirituale dei

giovani sia considerata, accompagnata e nutrita nel modo più accurato possibile. Accendere nel

cuore di un giovane il desiderio del bene, educare l’affettività e formare all’amore vissuto anzitutto

come dono di sé, alimentare nei cuori dei nostri ragazzi il desiderio di Dio e l’amicizia con Lui,

nutrita di familiarità con le Sacre Scritture e di orizzonti attenti ai bisogni dei più deboli

nell’orizzonte del Paese e della mondialità, è sfida che dovrebbe riguardare tutti, non solo i credenti.

Su questa forma concreta di servizio ai giovani avevano scommesso uomini come Giovanni Paolo II

con le Giornate Mondiali della Gioventù e il Card. Carlo Maria Martini con la sua Scuola della

Parola: esempi di persone che hanno varcato la soglia della morte, ma il cui messaggio è quanto mai

vivo e attuale. La riflessione sulla condizione dei giovani oggi stimola tutti noi a trovare per il

nostro presente vie analoghe a quelle che loro tentarono, nuove in rapporto ai cambiamenti

intercorsi, ma fedeli alla stessa volontà di amare i giovani e di aiutarli ad agire da protagonisti liberi

e consapevoli di un domani migliore per tutti. Anche per questo Papa Francesco ha deciso di

dedicare ai giovani il Sinodo dei Vescovi, che si comincia a preparare. È più che mai l’ora di

prestare attenzione ai giovani e di un nuovo, generoso e appassionato impegno con loro e per loro.