Pellegrini nella notte

epifania 

Fra i personaggi del Natale ce ne sono tre che il racconto evangelico ci presenta con un’aura di particolare fascino e di mistero: i Magi. “Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: ‘Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo’” (Matteo 2,1s). In questi uomini venuti da lontano, pellegrini nella notte guidati da una stella, mi sembra sia possibile vedere la ricerca del nostro cuore inquieto: essi ci rappresentano tutti, o almeno coloro fra noi che sono disposti a vivere l’esistenza non come resa all’evidenza finale della morte, ma come esodo, cammino verso la luce che viene dall’alto. E questo riguarda non solo chi crede, ma anche chi cerca non avendo il dono della fede: il cosiddetto ateo, quando lo è non per semplice qualificazione esteriore, ma per le sofferenze di una vita che lotta con Dio senza riuscire a credere in Lui, vive in una condizione di vera ricerca, di viva e spesso dolorosa attesa. Il non credente pensoso, come il credente non negligente, è qualcuno che lotta con Dio: proprio così alla ricerca della verità, pellegrino nella notte, attratto e inquietato da una misteriosa stella. L’essere umano è un “mendicante del cielo” (Jacques Maritain), cercatore di un senso, che dia dignità e bellezza al vivere e al morire. Tentazione è sentirsi arrivati, non più esuli in questo mondo, possessori di un oggi che vorrebbe arrestare la fatica del viaggio. “L’esilio di Israele - afferma un detto rabbinico - cominciò il giorno in cui Israele non soffrì più del fatto di essere in esilio”. L’esilio è di chi ha dimenticato la meta e si è “accasato” nella mediocrità della scena che passa. Se i Magi rappresentano l’uomo alla ricerca di Dio, la stella che li guida e il Bambino cui essa li conduce ci mostrano un Dio alla ricerca dell’uomo. Dio viene nelle nostre esistenze, nel nostro dolore e nella nostra gioia: si fa compagno di strada del nostro impegno, della nostra attesa, dei nostri problemi. Maestro del desiderio, Dio è colui che dandosi si nasconde allo sguardo e, rapendoci il cuore, si offre sempre nuovo e lontano: il Dio rivelato e nascosto! Proprio così, è il Dio vicino, che sostiene la nostra stanchezza, alimenta la nostra speranza, condivide il desiderio e l’impegno per gli altri, soprattutto per i più deboli e i più poveri. La Parola viene ad abitare fra noi, affinché nessuno si senta più solo e i nostri gesti di fede e d’amore la rivelino a chi ancora non l’ha incontrata: il Verbo si fa carne affinché diventiamo noi stessi il riposo della Parola, dove essa si lascia custodire e dire, come nel grembo verginale della Donna che ha detto “sì” al mistero dell’avvento, per dare vita e speranza ai cuori spezzati, per suscitare energie e futuro in chi è chiamato a farsi protagonista del domani: “Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi” (Isaia 40,30s). Pellegrini nella notte, guidati dalla stella, i Magi hanno riconosciuto nel Bambino il dono della verità, la luce che salva: lo hanno adorato. In questo atto di adorazione il cercatore è raggiunto dallo sguardo del Dio che ha avuto tempo per l’uomo. È l’incontro, è la fede: lotta, agonia, non riposo di un possesso tranquillo. Dio è fuoco divorante, il Dio vivente, non il “Deus mortuus” o “otiosus”. Perciò Pascal affermava che Cristo sarà in agonia fino alla fine del tempo: quest’agonia è la lotta di credere, di sperare e di amare, la lotta del discepolo con Dio! L’aver conosciuto il Signore non esimerà nessuno dal cercare sempre più la luce del Suo Volto, accenderà anzi sempre più la sete dell’attesa. Il credente è un cercatore di Dio, sulle cui labbra risuonerà la struggente invocazione del Salmista: “Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto” (Salmo 27,8s). Anche così la fede è resa e abbandono, approdo di bellezza e di pace: la bellezza dell’Uomo dei dolori, dell’amore crocifisso, della vita donata. L’adorazione dei Magi non è, allora, assenza di scandalo, ma presenza di un più forte amore: la fede non è risposta tranquilla alle nostre domande, ma sovversione, ricerca del Volto amato, consegna al Dio rivelato e nascosto. Il sì del Natale dei Magi lo ha espresso Kierkegaard con queste parole: “Nessuno può scegliere per te oppure in senso ultimo e decisivo può consigliarti riguardo all’unica cosa importante, l’affare della tua salvezza... Soli! Poiché quando hai scelto, troverai certamente dei compagni di viaggio, ma nel momento decisivo e ogni volta che c’è pericolo di vita, sarai solo” (Vangelo delle sofferenze). Quella scelta, quell’ora, non altrove, ma qui, non di fronte ai paradisi artificiali, ma davanti alle sfide e alle contraddizioni del nostro presente, è il vero Natale. Quello che auguro a ognuno di noi. 

Bruno Forte

Arcivescovo di Chieti-Vasto