La pace: dono, speranza e impegno

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La pace: dono, speranza e impegno

 

di Bruno Forte Arcivescovo di Chieti-Vasto

(Il Centro, domenica 9 aprile 2023, Pasqua, 1 e 3)

 

Sono tanti a pensare che la pace sia esclusivamente frutto dell’opera dei protagonisti umani della storia: la volontà di potenza delle visioni ideologiche, con la loro presunzione di poter piegare gli esseri umani alle proprie pretese, imponeva la legge del più forte come via per giungere alla pace fra i singoli, i raggruppamenti sociali, i popoli e le nazioni. Non a caso, né per un incidente di percorso, tutte le avventure dell’ideologia moderna, di destra come di sinistra, dall’ideologia borghese all’ideologia rivoluzionaria, sorte per costruire un mondo migliore nella giustizia e nella pace, sono sfociate in forme totalitarie e violente. La parabola delle ideologie si è sviluppata in maniera analoga nelle sue differenti espressioni: ed è precisamente l’esperienza dei totalitarismi ideologici e dei loro fallimenti a produrre la crisi della ragione illuministica e della sua presunzione di poter stabilire la pace. Lungi dall’aver prodotto più patti di pace, le ideologie hanno generato maggior dolore, alienazione e morte. Se la ricerca della pace punta prioritariamente all’assenza di guerra, garantita dalla legge del più forte, non potrà produrre frutto, perché prima o poi il gioco delle parti potrà cambiare. La pace non può essere garantita da chi si sente “gendarme del mondo” se non come riflesso del proprio dominio e condizione del trionfo dei propri interessi.

È altra la pace di cui abbiamo bisogno! Proprio di fronte al conflitto scatenato dall’inammissibile invasione russa dell’Ucraina sono andati emergendo segnali di questo nuovo bisogno di pace: il crescente consenso intorno al rifiuto della guerra, la consapevolezza che il raggiungimento della pace non può che passare attraverso la verità, la giustizia e il perdono, il nuovo interesse al prossimo più debole, la coscienza delle esigenze della solidarietà, anche a livello di mondialità, specialmente di fronte alla sfida dolorosa della pandemia, la sensibilità per il servizio ai più fragili e bisognosi, possono profilarsi come altrettante espressioni di una nuova nostalgia di pace. La pace nella giustizia e nella verità esige, però, un cammino spirituale e un’opera attenta e costante di educazione e di formazione delle coscienze: si risveglia un bisogno di senso e di motivazioni giuste, di un’ultima patria che non sia quella seducente, manipolante e violenta dell’ideologia, e dunque anche l’urgenza di un ritorno al Dio vivente, alle Sue esigenze di giustizia e di pace per tutti. Si comprende quanto sia necessario educare i giovani, e non solo loro, a invocare il dono della pace. Lo aveva intuito già il Concilio Vaticano II, quando aveva affermato che «legittimamente si può pensare che il futuro dell’umanità sia riposto nelle mani di coloro che saranno capaci di trasmettere alle generazioni future ragioni di vita e di speranza» (Gaudium et Spes 31). Si fa spazio qui a un possibile, nuovo interesse a comprendere la pace quale la rivelazione cristiana ha annunciato attraverso i testimoni che hanno vissuto credibilmente la sequela di Gesù.

Per la fede cristiana è il grido dell’ora nona - rischiarato dall’annuncio gioioso della resurrezione - a trafiggere la chiusura totalizzante di ogni visione ideologica, lasciando irrompere nell’orizzonte di tutto ciò che passa la presenza sovrana del Dio vivente. Solo il Cristo crocefisso e risorto è per i cristiani il “Principe della pace” (Is 9,5), Colui in cui l’Eterno è venuto in pienezza a dirsi e a donarsi a noi come nostra pace: «Egli infatti è la nostra pace… Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini» (cf. Ef 2,14.17). Afferma Papa Francesco: «Gesù spiega ai discepoli: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace non come la dà il mondo, io la do a voi” (Gv 14,27). Sono due modalità diverse… La pace che Gesù ci dà non è la pace che segue le strategie del mondo, che crede di ottenerla attraverso la forza, con le conquiste e con varie forme di imposizione. Questa pace, in realtà, è solo un intervallo tra le guerre… La pace del Signore segue la via della mitezza e della croce: è farsi carico degli altri. Cristo, infatti, ha preso su di sé il nostro male, il nostro peccato e la nostra morte. Ha preso su di sé tutto questo. Così ci ha liberati. Lui ha pagato per noi. La sua pace non è frutto di qualche compromesso, ma nasce dal dono di sé» (Udienza Generale, 13 aprile 2022).

La vita di Gesù è un’esistenza totalmente accolta e offerta nella gratuità di un dono, da cui il discepolo è generato nella fede ed a cui è chiamato nella carità. Agostino commenta quest’aspetto della vita del Cristo e del cristiano con una formula densa, che dice la grande scelta della libertà cui tutti siamo chiamati: «L’amore di sé fino alla dimenticanza di Dio o l’amore di Dio fino alla dimenticanza di sé» (De Civitate Dei, XIV, 28). Cristo è colui che ha fatto la scelta radicale per Dio, libero da sé, libero per esistere per gli altri: proprio così egli è il grande costruttore della pace, l’unico che può abbattere il muro dell’inimicizia (cf. Ef 2,14) e fare unità e riconciliazione fra chi è diviso. Seguire Lui nella disponibilità a pagare di persona per amore di Dio e del prossimo è la via per giungere non solo alla pace del cuore, ma anche a quella pace che trasfiguri i rapporti umani e li integri in un nuovo ordine personale, comunitario e mondiale, che sia giusto e pacifico per tutti. La pace è opera di giustizia che giunge sempre e solo come dono accolto da Dio e proposto a tutti mediante l’impegno generoso e la testimonianza di una speranza più forte di ogni calcolo umano.

Affermava don Tonino Bello: «Diciamo che ogni guerra è iniqua. Promuoviamo una cultura di pace… denunciamo a chiare lettere l’ingiustizia della corsa alle armi. Insorgiamo quando vengono violati i più elementari diritti umani in ogni angolo del mondo. Aiutiamo la gente distratta a rendersi conto che lo sterminio per fame di milioni di persone pesa sulla coscienza di tutti… Preserviamo i nostri ragazzi dalle trasfusioni di violenza che essi metabolizzano paurosamente… smettiamola di tacere! Ricordiamo che delle nostre parole dobbiamo rendere conto agli uomini, ma dei nostri silenzi dobbiamo rendere conto a Dio» (Lessico di comunione, Edizioni Insieme, Terlizzi 1991). Accogliere il Signore Gesù, “nostra pace”, vuol dire, allora, render ragione della speranza che è in noi con dolcezza e rispetto per tutti (cf. 1 Pt 3,15), con la forza della convinzione e la generosità dell’impegno, facendoci luogo della presenza del Dio vivente nella costruzione di una pace, che sia frutto di giustizia per tutti e di reciproco perdono. Perché questo avvenga, occorre nutrire però la passione per la Verità e l’obbedienza ad essa, vivendo e annunciando la forza dell’amore, ricevuto e donato.