San Colombano

San Colombano

 

SAN COLOMBANO

Santo Europeo

di don Gianluigi Panzeri

 

INTRODUZIONE

Nel nostro immaginario collettivo siamo soliti pensare che i diversi territori dell’Italia e di gran parte dell’Europa siano stati evangelizzati nell’Alto Medioevo da missionari inviati da Roma come ad esempio Sant’Agostino di Canterbury, o al più da Bisanzio come fecero i due fratelli Cirillo e Metodio o dal vicino Oriente sulle orme di San Paolo. Ma questa convinzione non è del tutto vera. Nel periodo che va dal V all’VIII secolo l’evangelizzazione parte dal mare d’Irlanda e “attecchisce” sul suolo europeo con un grande successo, tanto che studi recenti elencano in Germania 115 santi irlandesi, 45 in Francia, 44 in Inghilterra, 36 in Belgio, 25 in Scozia e 13 in Italia.

Il caso più rappresentativo è quello di San Colombano, originario, appunto, dell’Irlanda, che nelle sue peregrinazioni missionarie giunse ad evangelizzare i pagani di alcune regioni della Gallia, in particolare la Borgogna, e della Svizzera e in Italia il popolo Longobardo. Il Papa Benedetto XVI all’Udienza generale dell’11 giugno 2008 non esitò a definirlo “Santo Europeo”, infatti in una lettera scritta da Colombano intorno all’anno 600 e indirizzata al Papa Gregorio Magno (590-604) definito “splendido decoro della Chiesa romana, quasi fiore bellissimo di un’Europa tutta appassita, osservatore egregio, esperto nella contemplazione della divina parola” si trova per la prima volta l’espressione “Totius Europae” (“di tutta l’Europa”) con riferimento alla presenza della Chiesa in tutto il nostro continente.

LA FORMAZIONE DI COLOMBANO

Colombano (Colum Ban in gaelico Colomba bianca, latinizzato in Colombanus o anche in Columba) nacque nella contea del Leinster (la regione di Dublino) nella cittadina di Navan poco dopo il 540. Fonte principale per conoscere la vita di Colombano è l’agiografia Vita Columbani et discipulorum eius (Vita di San Colombano e dei suoi discepoli, riedito a Bobbio nel 2010) scritta da un monaco, Giona di Bobbio, che era entrato nel monastero dove Colombano era morto tre anni prima così che poté raccogliere informazioni di prima mano dai monaci che avevano conosciuto personalmente il fondatore e dai due abati che gli erano succeduti, ai quali Giona fece da segretario. Nell’agiografia si ricorda che Colombano era bello d’aspetto con grandi qualità fisiche, intellettuali e spirituali. Il fatto che fin dalla giovinezza si fosse dedicato agli esercizi fisici e agli studi con un precettore ci fa supporre che fosse di nobile famiglia cristiana perché fin da bambino era anche stato iniziato alla preghiera e alla conoscenza del latino, partendo dalla lettura dei Salmi e di altri passi della Sacra Scrittura. Ventenne, nel turbinio della vita mondana, divenuto ormai arciere e cavaliere, Colombano dovette decidere quale scelta fare nella vita; cercò allora consiglio da una monaca di clausura che godeva di fama di grande saggezza che gli consigliò di “fuggire dal mondo” e gli ripeté l’esortazione di Gesù al paralitico: “Alzati e cammina” (cfr Mt 9,2-7). Tornato a casa decise di lasciare tutto, il paese natale e la madre che si oppose alla sua partenza e che per trattenerlo si stese sulla soglia dell’uscio di casa per impedirgli il passaggio. Colombano si fece strada ripetendo le parole di Gesù: “Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me” (Mt 10,37). Raggiunse allora l’isola di Cleenishmeen situata in un lago dell’Irlanda settentrionale dove venne ammesso dall’abate Sinneill nell’abbazia di Cluane Inis [nome gaelico di Clinish Island] e si formò così a una vita di solitudine e di comunità, di preghiera e di lavoro. Di lì a qualche tempo migrò alla grande abbazia di Bangor, nell’attuale Irlanda del Nord (Ulster), dove ebbe come guida San Comgall, fondatore di una famosa scuola monastica, e dove diventò sacerdote.

SPIRITUALITÀ MONASTICA IN IRLANDA

In Irlanda l’ideale monastico aveva avuto, a partire dal V secolo, dopo la predicazione di San Patrizio che vi portò il Cristianesimo, uno sviluppo prodigioso benché non influenzato dalle forme del monachesimo orientale e nemmeno da quello benedettino. Questa forma di monachesimo aveva caratteri molto particolari perché costituiva la cellula fondamentale dell’evangelizzazione del territorio, diversamente dal resto dell’Occidente dove la Chiesa riunita attorno al proprio Vescovo, era deputata dell’organizzazione religiosa, pastorale e missionaria. In Irlanda accadeva invece che l’abate di un monastero con una vasta giurisdizione, poteva avere autorità anche su alcuni Vescovi. I monasteri irlandesi maschili erano molto popolati, comprendevano centinaia di monaci, talvolta anche migliaia, dei quali però solo un piccolo numero erano sacerdoti. Nei monasteri i monaci parlavano tra loro la lingua gaelica, ma per la celebrazione della Santa Messa e per la recita quotidiana dei Salmi facevano uso della lingua latina che veniva insegnata nelle scuole del monastero. La penetrazione del Cristianesimo attraverso i monasteri ha determinato così la nascita di una cultura letteraria in lingua latina anche in Irlanda. La lingua locale gaelica, che aveva anche una sorta di alfabeto, l’ogham che veniva impiegato solo per brevi iscrizioni, era utilizzata nelle liturgie pagane dei druidi e forse per questo mai fu impiegata nelle celebrazioni dai cristiani; l’alfabeto latino verrà poi adoperato per trascrivere il gaelico così da renderne più facile la lettura.

La spiritualità vissuta nei monasteri irlandesi si distingueva soprattutto per un ardore non comune nella vita penitente, nella ricerca della mortificazione e dell’ascesi: si proponeva il ritiro solitario, l’isolamento per cercare l’incontro con Dio nel silenzio. L’obbedienza all’abate o al maestro doveva essere inflessibile e rigorosa. La vita all’interno del cenobio tendeva all’autosufficienza, con tutta una serie di lavori che sostenevano la vita pratica del monastero: muratori, fabbri, falegnami, cuochi, ciabattini, sarti, agricoltori... Il monastero è in primo luogo un posto dove gli uomini vivono del lavoro delle proprie braccia, e l’abate partecipa alle attività materiali proprio come gli altri. Il lavoro manuale nei monasteri è ormai onorato, diversamente da quanto accadeva nel mondo antico che lo giudicava “servile”: l’uomo di Dio è colui che lavora con le proprie mani, proprio come Gesù, “figlio del carpentiere”.

Ambienti comuni nei monasteri erano oltre alle cappelle per le preghiere, il refettorio, i magazzini e i laboratori e tra questi quello degli amanuensi, lo scriptorium. Vi erano poi ambienti – di norma la chiesa abbaziale – dove i monaci si ritrovavano per la recita delle Ore canoniche, dei Salmi e delle letture bibliche, cinque volte durante il giorno e tre di notte. A questi tempi di preghiera comune si aggiungeva la preghiera privata. Le abitazioni dei monaci, edificate attorno alla chiesa collocata sempre al centro, dovevano esser simili a quelle del popolo, semplici capanne in legno col tetto in paglia o piccole celle austere e povere di pietra a secco nelle quali vi era un pagliericcio per letto, un tavolo, una croce, un piccolo lume alimentato da sego. Se invece delle capanne vi era un solo grande edificio, questo era comunque suddiviso in numerose piccole celle.

Un’usanza che ebbe un grande sviluppo nei monasteri d’Irlanda caratterizzandone la vita religiosa, avrà poi un notevole influsso sulla spiritualità dell’Occidente. Anticamente, nella chiesa latina sul continente, il Sacramento della confessione era solo per le colpe giudicate gravi – idolatria o negazione della fede cristiana, assassinio, aborto, adulterio a cui si aggiunse il furto – la celebrazione era pubblica, possibilmente davanti al Vescovo, difficilmente era reiterabile e riguardava comunque un numero ristretto di persone. I sacerdoti e i monaci, ad esempio, non erano ammessi a questa penitenza ecclesiastica soprattutto a motivo dell’alto tenore di vita morale che si esigeva da loro. L’assoluzione veniva impartita di norma al Giovedì Santo mattina dal Vescovo davanti alla comunità cristiana in preghiera, ma solo dopo che il penitente avesse portato a termine una debita severa penitenza. Ora, nei monasteri irlandesi si manifestò un modo nuovo di intendere il Sacramento della penitenza che poi si diffuse in tutta Europa. La confessione delle proprie colpe veniva fatta in modo privato all’abate o ai sacerdoti dell’abbazia; tale confessione inoltre era frequente, a volte anche quotidiana, e ripetibile. Questo modo di accedere alla penitenza si estese dai monaci ai laici che si rivolgevano al monastero chiedendo come espiare le proprie colpe. L’influenza di Colombano contribuirà notevolmente a diffondere e a divulgare sia il sacramento della Confessione, raccomandata soprattutto prima di partecipare alla Santa Messa (“confessione di devozione”), che la figura dei padri spirituali o confessori. Strettamente legato a questo modo di intendere la confessione delle colpe è il sorgere del genere letterario, tipicamente irlandese, dei libri Penitenziali. In questi testi all’elenco dei peccati si fa corrispondere con precisione, tra il giuridico e il matematico, una “tariffa penitenziale” per ottenere la soddisfazione delle proprie colpe. La “tariffa” consisteva in mortificazioni corporali, veglie, recita di preghiere, digiuni a pane ed acqua, digiuno a volte praticato anche “contro qualcuno” per far trionfare la propria volontà contro quella dell’avversario, multe pecuniarie da versarsi alle chiese, la proibizione di rapporti coniugali, rinuncia ai bagni per svago e per igiene, ma praticati come immersioni prolungate in acque gelide per penitenza, l’esilio inteso come peregrinatio.

LA PEREGRINATIO DI COLOMBANO CON 12 COMPAGNI

Ma quella espressione di Gesù “Alzati e cammina” che gli era stata ricordata quando era ancora ventenne, doveva risuonare nuovamente nelle orecchie di Colombano. E appunto, verso il 590/1 Colombano, cinquantenne, sentì il bisogno comune a molti monaci irlandesi di “peregrinare per Dio”. Si imbarcò con l’intento di raggiungere la Gallia con 12 discepoli (Gall, Autierne, Cominin, Eunoch, Eogain, Potentino, Colum, Deslo, Luan, Aide, Léobard e Caldwald) col proposito di fondare un nuovo monastero. Sbarcarono in Cornovaglia e raggiunta Plymouth attraversarono la Manica e raggiunsero la Gallia nei pressi di Mont-Saint-Michel dove ancora vi è la spiaggia di Guesclin che porta il nome di Saint-Coulomb. L’arrivo di quegli strani monaci vestiti di bianca lana grezza e tonsurati all’irlandese (la testa era ampiamente scoperta dal rasoio lasciando però una stretta striscia di capelli a corona sulla fronte; i capelli della nuca ricadevano invece sulle spalle) non poteva passare inosservata. Il re dei Burgundi – probabilmente l’anziano re Gontrano – venuto a sapere di questo progetto, invitò Colombano e gli offrì un terreno sulla frontiera della Borgogna verso l’Austrasia, in una zona di foreste, disabitato, ma ricco d’acqua nel sud dei Vosgi dove edificò tra il 591 e il 592 il monastero di Anegray sui ruderi di un castello diroccato: attorno ad una chiesa dedicata a San Martino di Tours e all’abitazione dell’abate venivano edificate le capanne monastiche in legno. Colombano pensò il monastero come un solido centro di irradiazione del Vangelo e di assistenza ai fedeli che a volte continuavano nelle antiche tradizioni pagane praticando costumi disordinati. Colombano dava allora a tutti un grande esempio di vita di preghiera e di ascesi incoraggiando i suoi discepoli con esortazioni spirituali. Durante la Quaresima poi si ritirava in una grotta, lasciata libera da un orso che aveva terminato il letargo, per meglio vivere con Dio in assoluta solitudine.

Diffondendosi la fama di santità di questo gruppo di monaci nelle zone circostanti, di lì a qualche tempo crebbe rapidamente il numero dei discepoli e delle vocazioni tra i nativi del luogo. L’abate Colombano allora decise di fondare, ad una decina di chilometri verso sud-est, sulle rovine di un antico castrum romano ormai ridotto ad un acquitrino, allora famoso per le terme d’acqua calda che vennero ben presto recuperate dai monaci, il monastero di Luxeuil (lat. Lixovium) e in seguito ne fondò un terzo a un’ora di cammino più a nord nella località di Fontaine attorno alla chiesa dedicata a San Pancrazio (anche questo luogo venne scelto per la ricchezza di acque termali). Tutti e tre i monasteri, non molto distanti tra loro, si trovano nel territorio collinare di Lure nella Haute-Saone in Borgogna, nella Francia centro-orientale. Questi monasteri sarebbero ben presto diventati centri dell’irradiazione monastica e missionaria di tradizione irlandese sul continente europeo. Così i monaci di Colombano, intransigenti e severi con se stessi e con il prossimo, godevano però la stima del popolo; nei loro monasteri si imparavano i metodi di coltivazione e di aratura delle terre e si ricevevano anche le cure mediche. I racconti riguardanti gli inizi di queste prime fondazioni così come ci sono state tramandate hanno il sapore dei Fioretti di San Francesco: chiamati da Colombano gli scoiattoli scendono dagli alberi e giocano o riposano nelle pieghe della sua veste; così gli uccelli gli volano sulle spalle e beccano il cibo dalle sue mani; a sua volta un corvo gli porta un guanto da lavoro che aveva perduto; un orso che aveva dilaniato un cervo gli lascia la pelle intatta perché serva per preparare i calzari ai suoi monaci. Al monaco Damoaldo che si lamentava perché la sorgente d’acqua era troppo lontana, Colombano, messosi in preghiera, ordinò di scavare la roccia dove il monaco si trovava e dalla roccia sgorgò l’acqua.

COLOMBANO IN BORGOGNA E L’ABBAZIA DI LUXEUIL

Colombano, uomo dalla forte personalità, audace e intransigente, a partire dal 593 si stabilì nel monastero centrale di Luxeuil nell’Abbazia dedicata a San Pietro e vi restò per quasi vent’anni. Governava con mano ferma la sua comunità, avvalendosi di un priore in ogni monastero e di due Regole – scritte 60 anni dopo e assolutamente indipendenti da quella di San Benedetto (480-547) – costruite sui temi: preghiera, lavoro e ascesi e nella pratica dei tre voti di castità, povertà e obbedienza. La Regula monacorum, articolata in dieci capitoli, nella quale si delineano le virtù e la spiritualità del monaco. Nell’ultimo capitolo così si parla della perfezione del monaco: “Il monaco viva nel monastero sotto la disciplina di un abate e in compagnia di molti, così che da uno impari l’umiltà, dall’altro la pazienza. Non faccia quello che vuole, mangi ciò che gli è comandato, abbia quel che ha ricevuto, compia il lavoro assegnatogli, sia sottomesso a colui che non vorrebbe. Giunga al suo giaciglio stanco e dorma quasi camminando, e sia obbligato ad alzarsi quando il sonno non è ancor finito. Taccia quando soffre ingiuria, tema il superiore della comunità come un padrone e lo ami come un padre, creda che qualsiasi cosa gli comanda, ciò è per lui salutare, non giudichi il parere di uno maggiore di lui, il cui dovere è di obbedire e adempiere ciò che è comandato, come Mosè dice ‘Ascolta, Israele...’ (Dt 6,4), e il resto. Fine della Regola”. La spiritualità di Colombano faceva della vita monastica una lotta attraverso la quale il monaco cercava di raggiungere la rinuncia di sé e l’assoluta sottomissione al suo superiore.

La Regula coenobialis dà, invece, le norme che devono aiutare il monaco nel cammino ascetico intrapreso: ogni giorno si deve pregare, leggere, lavorare e digiunare. Queste due Regole per un certo tempo furono più diffuse in Europa di quella di San Benedetto.

Per quanto riguardava la preghiera, un Ordo particolareggiato prevedeva la recita di tutti i 150 Salmi, preghiere che dovevano coinvolgere anche il corpo con genuflessioni, prostrazioni, braccia aperte e con il segno della croce più volte ripetuto. La Santa Messa veniva celebrata in modo solenne ed era arricchita da varie cerimonie nelle diverse festività, nelle domeniche e nell’occasione della morte di un confratello. Le chiese dei monasteri spesso erano insufficienti a contenere, oltre ai numerosi monaci, la folla dei fedeli che accorrevano e allora la celebrazione poteva svolgersi all’aperto, solitamente nel luogo contrassegnato da una grande croce in pietra. Giona di Bobbio ci riferisce questa preghiera di Colombano che ci dà il sapore delle preghiere nei suoi monasteri: O Signore Iddio, sradicate, estirpate dalla mia anima tutto ciò che il nemico vi ha piantato. Togliete dal mio cuore e dalle mie labbra tutta l’iniquità, datemi l’intelligenza e l’abitudine del bene, affinché in opere e verità io non serva che Voi solo: io sappia compiere i precetti del Cristo e cercare Voi, o mio Dio! Accordatemi la memoria, la carità, la fede. Signore operate in me il bene e donatemi ciò che Voi giudicate essermi utile. Amen.

Quanto al lavoro si trattava del lavoro manuale, consueto per i monaci, o dello studio o dello scriptorium grazie al quale sono stati tramandati, perché rigorosamente copiati, molti testi antichi non solo religiosi ma anche delle cosiddette arti liberali. Lo scriptorium di Luxeuil avrà un’importanza non secondaria nella formazione culturale e libraria pre-carolina (due secoli dopo, Carlo Magno si rivolgerà ai dotti monaci irlandesi e ai loro monasteri per dar vita alla sua scuola palatina). Ma assieme al lavoro intellettuale, i monaci recheranno un grande apporto alla cultura con l’attività agricola e l’edilizia. Nell’Alto Medioevo il lavoro manuale era ancora considerato servile, ma i monaci operarono una rivoluzione silenziosa aprendo radure a colpi d’ascia, dissodando i terreni, seminando e raccogliendo i frutti della terra. Coltivare il frumento o l’orzo, la frutta e la verdura, cereali e legumi, di cui si nutriranno i monaci, e la vite, da cui produrre vino per le celebrazioni eucaristiche, era una delle preoccupazioni dei primi anni delle fondazioni di Colombano. Nella Vita Columbani scritta da Giona di Bobbio si menzionano spesso le asce, i cunei di legno, i falcetti per mietere, zappe, i carri per i trasporti, mulini... È la nuova tecnologia che nasce e si sviluppa nell’Alto Medioevo per diminuire la fatica dei monaci e semplificare il loro lavoro affinché possano dedicare tempo alla preghiera.

Per quanto riguarda l’ascesi come desiderio di assoluto, la Regula coenobialis si affidava ad un severo Penitenziale (De poenitentiarum misura taxanda), un elenco austero di pratiche penitenziali che prevedeva come parte del regime normale dell’ascesi del monaco la frequente confessione dei propri peccati e come pena, ad esempio, colpi di frusta, oppure l’estenuante applicazione al lavoro manuale, oppure l’immobilità totale nella posizione delle braccia a forma di croce, o anche l’immersione penitenziale nell’acqua gelida in un clima di preghiera, oppure l’astinenza dal cibo o la pratica del digiuno... (la carne era sempre vietata, il pesce come il latte era riservato ai giorni di festa). Di norma ai monaci era servito nel refettorio della comunità un solo pasto al giorno dopo la recita dell’Ora nona, cioè dopo le ore 15; il cibo doveva essere frugale “sì che il ventre non sia troppo gravato e lo spirito non resti soffocato”; se la bevanda tipica delle regioni dove sorgeva il monastero era la birra, questa poteva essere preparata in monastero e bevuta a tavola.

La giornata del monaco trascorreva nel silenzio, nella preghiera corale e con ritmi diversi a seconda del ritmo del lavoro legato alle stagioni.

A nessun laico era permesso entrare nel monastero e il monaco poteva corrispondere con i laici, compresa la propria famiglia, solo col permesso del suo superiore. La Regola presentava un forte carattere di esortazione alla vita religiosa e all’ascetismo; scrive Colombano: “Ricordati non di quello che sei, ma di quello che sarai; ciò che è non dura che un istante; ciò che sarà è eterno”... “Tu non hai nulla sulla terra, o uomo; morirai nudo come sei nato, e il tuo corpo diventerà polvere... Guardati dal vendere il cielo dov’è la tua eredità per l’eternità! Piuttosto vendi te stesso e acquista la vita”. La Regola non prevedeva però nulla a proposito della struttura istituzionale del monastero, come l’ammissione dei conversi, o l’elezione dell’abate e le sue funzioni, o l’accesso ai diversi incarichi all’interno del monastero.

Colombano esercitava una grande influenza non solo sui monaci venuti a porsi sotto la sua direzione, ma anche tra la gente, che accorreva a lui per chiedere di riconciliarsi con Dio. Si diffondeva sempre più la fama delle sue virtù così da attrarre molti monaci nel monastero di Luxeuil. La storia di questa Abbazia, ricostruita dal monaco Giona nel contesto della vita di Colombano, non manca di aspetti miracolistici che fanno parte della fama del monastero e del suo fondatore.

Il severo maestro Colombano volle conservare anche in Gallia la datazione irlandese della Santa Pasqua e questa sua intransigenza sarà all’origine di non pochi problemi. Come è noto la data della Pasqua segue il calendario lunare, ma mentre Roma seguiva dal 525 i calcoli aggiornati dal monaco Dionigi il Piccolo che fissava l’equinozio al 21 marzo, i Bretoni e gli Irlandesi, seguendo un antico calendario locale, facevano cadere l’equinozio al 25 di marzo, il che poteva ritardare la Pasqua anche di un mese. Inoltre nella regione Burgunda dove si trovava Luxeuil, secondo il calendario di Vittore d’Aquitania, il giorno della Pasqua cadeva il 16° giorno della luna nuova di primavera e non il 14°. Colombano non era uomo capace di mediazioni, per questo si rivolse – ma senza ricevere risposta – al Papa Gregorio Magno chiedendo con fervore di schierarsi a favore della datazione della Pasqua del calendario degli astronomi irlandesi, così come lui era stato educato nel monastero di Bangor. Nell’anno 603 Colombano venne convocato a Chalon-sur-Saône dai Vescovi della Gallia per render conto delle consuetudini dei suoi monaci circa la celebrazione della Pasqua e della confessione. Egli però non si presentò davanti al Sinodo ma fece giungere un lettera nella quale scrisse: “Sia ben lungi da me il contendere scontrandomi con voi sulla data della Pasqua... Nella diversità possiamo trovare un accordo, cosicché se entrambe le tradizioni sono buone, ciascuno rimanga davanti a Dio in quella tradizione in cui era quando è stato chiamato”. Sempre per cercare sostegno alla datazione irlandese, scrisse poi al Papa Bonifacio IV (608-615) del quale però ancora non conosceva il nome e che allora definì “santo signore e padre apostolico in Cristo” e “dolcissimo Papa in Cristo”, ma tutte e tre le sue istanze non ebbero mai risposta.

La questione della datazione della Pasqua fu risolta solo nell’anno 664 in un concilio riunito a Whitby nella contea dello Yorkshire, in Inghilterra, sotto l’egida della badessa Ilda, che pose fine alle peculiarità degli irlandesi.

COLOMBANO VIENE CACCIATO DALLA BORGOGNA

Colombano di carattere forte, difficilmente remissivo, si scontrò con la scaltra ed energica regina merovingia Brunechilde che esercitava il potere con ferma autorità in Borgogna avendo la tutela sui nipoti Teodeberto II e Teodorico II. Colombano aveva infatti rimproverato la vita libertina dei nipoti e sostenne a viso aperto davanti alla regina le ragioni della morale cristiana. A Brunechilde, allora, non parve vero di poter comminare l’esilio a Colombano con l’appoggio dei Vescovi locali che mal sopportavano il suo spirito d’indipendenza e la forza con cui negava loro ogni tipo di giurisdizione, invitandolo a tornarsene al suo paese d’origine, qualora non si adattasse a celebrare la Pasqua secondo gli usi locali dei franchi. Così Colombano venne prima imprigionato a Besançon nel 609 e l’anno seguente definitivamente cacciato da Luxeuil con i discepoli provenienti dall’Irlanda, ma i monaci, al momento di imbarcarsi a Nantes per la loro terra d’origine, riuscirono a fuggire e a raggiungere con la complicità di altri discepoli i paesi della Mosella e del Reno, sollevando ovunque grande entusiasmo e suscitando vocazioni. Pare che Colombano poté sostare in preghiera sulla tomba di San Martino di Tours, per poi riprendere la peregrinazione. È in questo periodo che indirizza una lettera ai monaci lasciati a Luxeuil piena di forti esortazioni: “Se togli gli avversari non c’è più lotta e senza lotta non c’è corona. Con la lotta il coraggio, la vigilanza, il fervore, la pazienza, la fedeltà, la saggezza e la fermezza. Ma se togli la libertà, togli la dignità”. L’esilio da Luxeuil provocò così una rapida diffusione dell’opera di Colombano e delle sue scelte pastorali; la gente accorreva al suo passaggio portando doni e invocando benedizioni a volte accompagnate da miracoli. Venivano invalidi, malati, indemoniati e Colombano li guariva, li consolava e raccomandava l’osservanza della morale cristiana e della penitenza. Ospitato nella casa paterna del discepolo Cagnoaldo, che poi diverrà Vescovo di Laon, conobbe la sorella Fara che si sentiva anch’essa chiamata alla vita monastica; Colombano allora a Faremoutiers fondò il primo monastero doppio della Francia, maschile e femminile, con Fara (poi Santa, chiamata anche Burgondofara) come badessa, utilizzando la stessa Regola di Luxeuil. Così anche il discepolo Adone, ispirandosi alle scelte di Colombano e con la stessa Regola, edificherà verso il 630, nella regione dell’Île-de-France, l’abbazia di Jouarre come doppia comunità, sotto l’autorità di una badessa, e anche il fratello Dadone (poi Saint Ouen), prima di diventare Vescovo di Rouen, darà vita nella Brie, a est di Parigi, al monastero di Rebais con le Regole dettate per Luxeuil. Un altro discepolo, Potentino, staccatosi dal gruppo fondava, intorno al 610, nella Bassa Normandia nel territorio abitato da popolazioni celtiche, un monastero a Coutances. L’azione pastorale di Colombano non mirava soltanto a rianimare la fede cristiana e ad allontanare i pericoli della decadenza religiosa delle popolazioni che via via incontrava, ma anche era tesa a portare l’annuncio del Vangelo ai pagani ancora numerosi tra i Germani e tra gli Alemanni delle regioni dell’Alsazia e della Svizzera. L’opera di Colombano fece immediatamente breccia nel popolo e lentamente nell’aristocrazia franca che poi, però, mai mancherà di sostenere il monaco irlandese e le sue fondazioni.

COLOMBANO FONDA I MONASTERI DI BREGENZ E DI BOBBIO

Colombano desiderava fare un pellegrinaggio a Roma per appoggiare la fronte, in segno di sottomissione e obbedienza, sulla tomba dell’apostolo Pietro e concludere così la sua Peregrinatio. Per questo si mise in cammino con alcuni monaci che si ispiravano al “peregrinare per Dio” percorrendo a piedi le vie che dalla Germania, attraverso la Svizzera, portavano in Italia. Risalendo la valle del Reno fecero tappa a Tuggen presso il lago di Zurigo, passarono da Metz, Coblenza e Magonza senza trovare accoglienza; giunti però sul lago di Costanza, incontrarono nella località di Arbor Felix (Arbon) un sacerdote di nome Willimar e un diacono, Hiltibold, che diedero loro ospitalità ed indicarono, come possibile fondazione di un monastero, un antico castrum nella località di Bregenz (lat. Brigantium), sulla via romana, all’estremità orientale del lago (ora Vorarlberg, in Austria). Qui Colombano restituì al culto cristiano la chiesetta di Sant’Aurelio che era stata sconsacrata dai pagani e attorno vi edificò il monastero. Il duca del territorio, Gunzone, si era già convertito al cristianesimo con tutta la sua famiglia, ma non così le popolazioni locali alemanne ancora pagane o semicristiane. Colombano si fermò a Bregenz dal 610 al 612 e poté vedere il ritorno di molti al Vangelo e battezzò un numero considerevole di pagani. Anche qui avvennero miracoli: durante il perdurare di un periodo di carestia vi fu una pesca grandiosa, arrivarono delle quaglie nel monastero per tre giorni di seguito, finché – anche questo fatto prodigioso – il Vescovo non mandò abbondanti provvigioni. Colombano da alcuni pagani svevi che adoravano il dio Wotan venne anche scambiato per una divinità. La leggenda vuole che a Bregenz Colombano liberasse degli indemoniati facendo uscire i demoni dai loro corpi di fronte alla moltitudine: si tratta del cosiddetto Miracolo di Bregenz che è raffigurato sul sepolcro del santo nella cripta dell’Abbazia di San Colombano a Bobbio.

Da Bregenz indirizzò esortazioni in prosa e in versi ai suoi monaci restati in Borgogna.

Al momento di lasciare questa fondazione per raggiungere l’Italia, il suo compagno irlandese che conosceva la lingua tedesca, Gallo, che lo aveva accompagnato fin da Bangor, assalito dalla febbre, chiese di poter rimanere nel paese e di stabilirvi la sua cella in Steinach. Sulla tomba di questo discepolo, un secolo dopo, verrà edificato uno dei più importanti monasteri dell’Occidente, la famosa abbazia di San Gallo (Sankt Gallen) in Svizzera. Più avanti un altro discepolo, il monaco Sigiberto, si separò dal maestro per dare origine all’abbazia di Santa Maria di Disentis nei Grigioni.

Purtroppo il biografo ufficiale di Colombano, Giona, non ci è di aiuto nel descrivere il percorso che fece per raggiungere l’Italia: nella sua Vita Columbani et discipulorum eius, non dice quale strada abbia seguito. Con ogni probabilità l’idea di arrivare in fretta a Roma avrà consigliato a Colombano di seguire ancora il Reno (Posteriore), percorrendo l’antico tracciato carovaniero della via romana dello Spluga; una volta superato il passo, discese la gola del Cardinello e, seguendo il torrente Liro, arrivò a Chiavenna e da qui al Lago di Como dove forse si imbarcò per arrivare a Lecco e poi seguire il corso del fiume Adda, per lunghi tratti navigabile, fino alle porte di Milano. Alcuni storici sostengono invece che abbia superato le Alpi seguendo la strada romana del Septimer Pass (dove è stata posta un targa in bronzo per ricordare il suo passaggio), altri attraverso il valico del Bernina e poi sia passato da Como dove avrebbe incontrato il Vescovo Agrippino legato al cosiddetto “scisma dei tre capitoli” che faceva capo al Patriarcato di Aquileia.

Ora nel Nord Italia a partire dal 572 era giunto dalla Pannonia il popolo dei Longobardi che, approfittando di un periodo di disimpegno dei Bizantini, aveva dato origine ad un Regno con capitale Pavia. Quando Colombano con i suoi monaci giunse nei territori longobardi con l’intenzione di attraversarli per raggiungere Roma, incontrò il re longobardo Agilulfo, di religione ariana, e la moglie Teodolinda, cattolica. Nel 613 da Milano scrisse una lunga lettera al Papa Bonifacio IV per esortarlo a intervenire per ristabilire l’unità nella Chiesa che si presentava lacerata; nella lettera ricorda in questi termini la sua terra d’origine, l’Irlanda: “Nella nostra isola non vi sono eretici, né giudei, né scismatici. La fede cattolica, tale quale ci è venuta da voi, successori degli Apostoli, vi si conserva integra e senza inquinamenti”. Pare che sia stato lo stesso re Agilulfo ad offrire a Colombano e ai suoi monaci una vecchia chiesa dedicata a San Pietro, in Val Trebbia, alla confluenza del torrente Bobbio dove poter fondare un monastero. Tutto quel territorio era sprovvisto di efficienti organismi di governo sia civile che ecclesiastico così che i longobardi sostennero l’intenzione dei monaci irlandesi di dar vita ad un monastero che avrebbe dovuto essere anzitutto un centro missionario contro i residui di paganesimo nelle popolazioni autoctone, ma anche contro l’arianesimo ancora molto vivo tra i longobardi.

Da Milano, allora, la comitiva di pellegrini partì in direzione di Sant’Angelo Lodigiano, passando per il villaggio che ora porta il nome di San Colombano (etimologia dovuta alla medioevale infeudazione monastica del territorio) al Lambro; attraversò il Po all’altezza di Castel San Giovanni, quindi superato l’Appennino seguendo la Val Trebbia raggiunse l’area boschiva di Bobbio. Qui nell’anno 614 Colombano fondò sulla sponda sinistra del Trebbia ai piedi del monte Penice quello che sarà il suo ultimo monastero. A tal proposito le leggenda narra come, mentre due buoi trascinavano una grossa trave per la costruzione del monastero, un orso sbucato improvvisamente dalla selva azzannò uno dei due buoi. Colombano allora ordinò all’orso di sostituire l’animale ucciso e l’orso obbedì, sottoponendosi al giogo. Da allora l’orso divenne un buon servitore del monastero finché visse.

L’austero abate Colombano morì a Bobbio l’anno seguente, all’età di 75 anni, la domenica 23 novembre del 615. La sua festa liturgica si celebra, appunto, il giorno 23 novembre. La sua urna si trova nella cripta dell’abbazia assieme a quella degli abati suoi successori. Bobbio venera Colombano come patrono della città e della diocesi e conserva le sue reliquie nella cripta della Basilica ora a lui dedicata.

Il 23 novembre 2002 San Colombano è stato ufficialmente nominato santo patrono dei motociclisti con una cerimonia al passo Penice, dove è stata collocata una sua statua.

L’iconografia classica rappresenta San Colombano in veste da monaco con un’ampia tonaca bianca; i suoi attributi sono un sole raggiante sul petto, un libro in mano con la scritta Christi simus, non nostri e una colomba sulla spalla.

IL MONASTERO DI BOBBIO

Il monastero di Bobbio sotto i successori di Colombano, Attala (615-627), Bertulfo (627-642), Bobuleno (643-652), Cumiano (653-661), tutti venerati come santi, doveva diventare uno dei centri più attivi della cultura teologica e letteraria nell’Alto Medioevo, paragonabile a quello più famoso di Montecassino, con uno scriptorium che poteva vantare nel X secolo la biblioteca più importante dell’Italia. Bobbio era una fucina di calligrafi, copisti, miniatori e studiosi, tanto che nel X secolo la biblioteca si arricchì di ben 700 codici. Da un antico documento risulta che già nell’835 vi era un monaco incaricato della conservazione del materiale raccolto nella biblioteca. È attraverso questo monastero che giungeranno fino a noi, in modo anche esclusivo, le opere di autori classici sia cristiani che pagani come si evince dal ricchissimo catalogo della biblioteca del monastero edito da Ludovico Antonio Muratori all’inizio del XVIII secolo. Tra i codici vi è anche l’Antifonario di Bangor che risale al VII secolo, conservato nell’abbazia di Bobbio fino al 1609 e che oggi si trova presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano: la tradizione vorrebbe che fosse stato lo stesso Colombano a portarlo a Bobbio da Bangor, in realtà pervenne al monastero dopo il IX secolo in seguito alle invasioni vichinghe delle terre irlandesi.

L’epoca d’oro del monastero di Bobbio va dal IX al XII secolo quando divenne uno dei più ricchi monasteri d’Italia. All’epoca dell’imperatore Carlo il Grosso (881-887) raggiunse il considerevole numero di 150 monaci, crescendo in fama, stima e ricchezza.

Dal VII al X secolo, Bobbio divenne un vero e proprio grande Feudo monastico che si estendeva dalla Val Trebbia, all’Oltrepò, alla Val Tidone, alla Val d’Aveto, alla Val Curone e all’Alessandrino. Suoi piccoli Feudi erano poi sparsi in tutta l’Italia settentrionale: dalle coste bagnate dal Mar Ligure (i porti di Moneglia e Porto Venere, il paese di San Colombano in Certenoli), al Piemonte (Abbazia di Novalesa, Bobbio Pellice nell’omonima Valle, San Colombano Belmonte in provincia di Torino, Aqui Terme, Pagno in provincia di Cuneo, Biandrate in Provincia di Novara); alla Lombardia (Vaprio d’Adda, Paullo, monastero di San Pietro in Ciel d’oro a Pavia, castello di San Colombano a Lodi, Castiglione d’Adda, Valtesse quartiere di Bergamo, Collio in provincia di Brescia, Bormio e Traona in provincia di Sondrio), dai territori sui Laghi di Como e di Garda (Priorato di Bardolino) fino a località sui fiumi Ticino e Po. Dal monastero dipendeva anche una flotta di imbarcazioni che collegavano Pavia con la Svizzera e, via Po, i possedimenti sul Mincio e il territorio di Comacchio dai Longobardi donato ai monaci che vi costruirono un porto fluviale e delle saline il cui sale era poi trasportato in tutta l’Italia del nord. Infeudati all’Abbazia di Bobbio erano anche il monastero San Colombano di Bologna (ora museo) e quelli di Verona, Rovereto, Ferrara, Ravenna, Venezia, Trieste, Grado, Ascoli Piceno. L’agricoltura e allevamento si svilupparono nei possedimenti dell’Abbazia a San Colombano al Lambro e Fombio nel lodigiano, a Introbio e ai Piani di Bobbio in Valsassina e nei vasti appezzamenti di terreni e pascoli sull’Appennino seguendo la cosiddetta Via degli Abati che da Bobbio attraverso la Cisa e Pontremoli porta in Lunigiana e in Garfagnana.

Dal punto di vista religioso, il monastero svolse il ruolo che altrove era affidato alle cattedre episcopali: è centro e cuore dell’evangelizzazione e della vita pastorale provvedendo alla predicazione, all’insegnamento e all’amministrazione dei sacramenti in tutto il territorio creando non poche tensioni con i Vescovi locali. Il principio dell’autorità indiscussa dell’abate tanto cara a Colombano fece sì che ogni monastero avesse le proprie consuetudini e ogni abate fosse libero di modificare le istituzioni vigenti. Così i monasteri di Colombano per l’autonomia che rivendicavano trovarono spesso forte ostilità sia da parte dell’aristocrazia, sia, soprattutto, da parte dei Vescovi i quali nel sinodo di Macon (dopo il 614) giunsero a condannare le particolarità liturgiche di Colombano. Per superare queste continue tensioni, il monastero di Bobbio nel 628 ottenne – e fu il primo in assoluto – il privilegio dell’esenzione dalla giurisdizione episcopale con l’obbligo però di una speciale offerta alla Santa Sede e una diretta sottomissione al volere del Papa. L’Abbazia dal 643 poteva vantare anche la presenza dell’“abate mitrato” cioè equiparato ad un Vescovo e nel 1014 venne creata la Diocesi di Bobbio guidata dallo stesso abate col titolo di Vescovo-Conte.

L’attuale edificio del monastero risale all’intervento dell’abate Agilulfo che iniziò la costruzione nell’883. Dalle mura del monastero di Bobbio uscì anche un papa: l’erudito monaco benedettino francese Gerberto d’Aurillac, giudicato l’uomo più erudito del suo tempo, nell’982 venne nominato dall’imperatore Ottone II abate di Bobbio dove vi fondò una scuola di alto profilo d’insegnamento; di lì a qualche anno divenne poi vescovo di Reims, quindi di Ravenna e nel 999 venne eletto al soglio pontificio col nome di Silvestro II grazie al sostegno dell’imperatore Ottone III.

Il monastero di Bobbio vedrà la propria decadenza già nel XV secolo, così che nel 1461 passò alle dipendenze del monastero benedettino di Santa Giustina di Padova; da allora la sua biblioteca conobbe una graduale dispersione delle opere con l’esodo soprattutto dei codici miniati. Alcuni finirono nell’archivio dei Savoia; nel 1606 Federico Borromeo ne acquisì per la Biblioteca Ambrosiana e nel 1618 Papa Paolo V ne fece confluire gran parte dei rimasti nella Biblioteca Vaticana. Nel 1722 a Bobbio vi erano ormai solo 120 codici. Nel corso del 1800 il governo Piemontese ne rintracciò 100 antichissimi che furono trasferiti nella Biblioteca nazionale di Torino, ma a causa di un incendio scoppiato nel 1904 se ne salvarono solo 59. Altri codici bobbiensi si trovano a Napoli, a Vienna, in Francia e in Inghilterra.

IRRAGGIAMENTO DEI MONASTERI DI SAN COLOMBANO

Colombano, a Bobbio, diede origine a quello che sarà il più grande monastero dell’Italia del Nord che irradierà il Vangelo nel vasto territorio che corrisponde in buona parte alle attuali provincie di Alessandria, Pavia, Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Genova, La Spezia, Massa Carrara, Lucca e Pisa e diventerà per alcuni secoli un punto di riferimento spirituale ad ampio raggio, meta di pellegrini anche d’Oltralpe.

Dopo la scomparsa di Colombano, le sue istituzioni, nonostante il tipico ascetismo irlandese, ebbero una larghissima diffusione principalmente nei territori franchi. Quando si voleva fondare una nuova abbazia si chiedevano monaci da Luxeuil o ci si rivolgeva ai successori di Colombano di quel monastero, Eustasio e Valdeberto, perché inviassero educatori monastici sia maschili che femminili. L’abbazia di Luxeuil conoscerà così un grande sviluppo tanto da gemmare, grazie al dinamismo dei discepoli di Colombano, nel volgere di un secolo, più di 100 monasteri dai quali nel VII secolo proverranno anche molti Vescovi; alcuni di questi monasteri col tempo si trasformarono in villaggi o addirittura diedero origine a città. Anche la città di Bobbio è appunto cresciuta attorno al monastero di San Colombano.

Durante il cinquantennio che seguì la morte di Colombano, due generazioni di suoi discepoli contribuirono a diffondere la tradizione di Luxeuil. A titolo esemplificativo, oltre alle abbazie già citate, si ricordano: i monasteri maschili di Saint-Oue (645), Fontanelle (649), Jumièges (654), le Abbazie Malmédy e Stavelot (649), Saint-Trond (656), Saint-Pierre di Corbie (657), Lobbes (660), Gand (660); i monasteri femminili di Jouarre (630), Faremoutiers (652) e Chelles (653).

Ma proprio la gelosa autonomia di ogni monastero che si ispirava alle Regole di Colombano sarà la causa della scomparsa dell’autentico monachesimo ideato da Colombano. Infatti la Regula monacorum e la Regula coenobialis necessitavano di indicazioni complementari come l’elezione dell’abate e delle sue specifiche funzioni, l’accoglienza dei fratelli conversi, la distribuzione dei diversi incarichi all’interno del monastero... anche perché ormai tali Regole venivano proposte a monaci che per natali non avevano più nessun rapporto con l’Irlanda e le sue severe tradizioni. Così ogni Abbazia si arricchì di regole particolari, diverse da monastero a monastero. Il diffondersi poi del monachesimo benedettino farà sì che nei monasteri colombaniani si formeranno regole eclettiche come ad esempio nel monastero di Luxeuil già a partire dal 630. L’unione delle due Regole di Colombano con quella meno esortativa e più pratica e meno severa benedettina farà sorgere Regole dette “miste” che avranno larga diffusione.

Intorno alla fine del VII secolo, se si fa eccezione per pochi monasteri tra i quali Bobbio, si può affermare che non esisteva più l’autentico, austero ed esigente monachesimo di Colombano. Nel secolo successivo la Regola di San Benedetto, che non conosce il severo ascetismo irlandese e che descrive l’abate in termini di paternità e definisce i diversi ruoli dei monaci e delle strutture amministrative, avrà il definitivo sopravvento nei monasteri colombaniani, tanto che quando l’imperatore Carlo Magno chiese se esistesse oltre a quella qualche altra regola monastica, gli fu risposto che non ne esistevano.

COLOMBANO, SANTO EUROPEO

Papa Benedetto XVI nell’Udienza generale dell’11 giugno 2008 così ha sapientemente delineato la figura di San Colombano: “Il messaggio di San Colombano si concentra in un fermo richiamo alla conversione e al distacco dai beni terreni in vista dell’eredità eterna. Con la sua vita ascetica e il suo comportamento senza compromessi di fronte alla corruzione dei potenti, egli evoca la figura severa di San Giovanni Battista. La sua austerità, tuttavia, non è mai fine a se stessa, ma è solo il mezzo per aprirsi liberamente all’amore di Dio e corrispondere con tutto l’essere ai doni da lui ricevuti, ricostruendo così in sé l’immagine di Dio e al tempo stesso dissodando la terra e rinnovando la società umana. Cito dalle sue Instructiones: ‘Se l’uomo userà rettamente di quelle facoltà che Dio ha concesso alla sua anima allora sarà simile a Dio. Ricordiamoci che gli dobbiamo restituire tutti quei doni che egli ha depositato in noi quando eravamo nella condizione originaria. Ce ne ha insegnato il modo con i suoi comandamenti. Il primo di essi è quello di amare il Signore con tutto il cuore, perché egli per primo ci ha amato, fin dall’inizio dei tempi, prima ancora che noi venissimo alla luce di questo mondo’ (cfr Instr. XI). Queste parole, il santo irlandese le incarnò realmente nella propria vita. Uomo di grande cultura – scrisse anche poesie in latino e un libro di grammatica – si rivelò ricco di doni di grazia. Fu un instancabile costruttore di monasteri come anche intransigente predicatore penitenziale, spendendo ogni sua energia per alimentare le radici cristiane dell’Europa che stava nascendo. Con la sua energia spirituale, con la sua fede, con il suo amore per Dio e per il prossimo divenne realmente uno dei Padri dell’Europa: egli mostra anche oggi a noi dove stanno le radici dalle quali può rinascere questa nostra Europa”.

COLUMBAN’S DAY

Papa Francesco durante l’Angelus in Piazza San Pietro del 12 ottobre 2014 ha ufficializzato l’apertura del XIV centenario della morte di San Colombano, grande evangelizzatore del Continente europeo.

Infatti, per ricordare l’importanza e la vita del santo, del quale già Pio XI aveva detto: “sfolgorò di tanta luce nella storia che la terra ancor di esso si illumina”, dal 1998 è attivo il Comitato Colombaniano con sede a San Colombano al Lambro che organizza il “Meeting internazionale delle comunità di San Colombano” (Columban’s Day), che anno dopo anno si svolge in una città legata al santo abate irlandese, sia in Italia che in Europa, con eventi, convegni e celebrazioni liturgiche nelle quali viene venerata la reliquia del teschio del santo conservata a Bobbio. Dal 1998 al 2001 il Columban’s Day si tenne dunque a San Colombano al Lambro; nel 2002 a Riva di Suzzara (MN); nel 2003 a Canevino (PV); nel 2004 in Germania a Friedrichshafen; nel 2005 a Vernasca (PC); nel 2006 a Bobbio (PC); nel 2007 in Francia a Luxeuil-les-Bains; nel 2008 a Biandrate (NO); nel 2009 a Brugnato (SP); nel 2010 in Irlanda a Bangor e Armagh; nel 2011 a Santa Giuletta (PV); nel 2012 a Milano nella Basilica di San Marco; nel 2013 in Svizzera a Rorschach. Nel 2014 eccezionalmente il Columban’s Day si è svolto a Roma nella Basilica di San Giovanni in Laterano, inaugurando con Papa Francesco l’anno centenario dei 14 secoli della morte dell’abate irlandese. Sempre nel 2014 sono iniziate le celebrazioni per l’arrivo di San Colombano a Bobbio e la fondazione del monastero; tali celebrazioni culmineranno nel Columban’s Day di domenica 30 agosto 2015 a Bobbio.

 

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