Santi Cirillo e Metodio

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SANTI CIRILLO E METODIO

Apostoli degli Slavi e Compatroni d’Europa

di don Gianluigi Panzeri

 

INTRODUZIONE

“Pertanto con sicura cognizione e mia matura deliberazione, nella pienezza della potestà apostolica, in forza di questa lettera ed in perpetuo costituisco e dichiaro celesti compatroni di tutta l’Europa presso Dio i Santi Cirillo e Metodio, concedendo inoltre tutti gli onori e i privilegi liturgici che competono, secondo il diritto, ai patroni principali dei luoghi”.

È questa la conclusione della Lettera Apostolica Egregiae Virtutis che porta la data 31 dicembre 1980 del primo Papa slavo, San Giovanni Paolo II, con la quale ufficialmente proclamava i due fratelli Cirillo e Metodio compatroni d’Europa con San Benedetto da Norcia. A questi lo stesso Karol Wojtyła nel 1999 vorrà poi aggiungere Santa Brigida di Svezia, Santa Caterina da Siena e Santa Teresa Benedetta della Croce (al secolo Edith Stein).

Ma chi erano questi due fratelli Cirillo e Metodio?

IL CONTESTO STORICO

Nel IX secolo dopo Cristo nel cuore dell’Europa si era formata una storica regione denominata Grande Moravia, che rappresentò la prima forma di realtà organizzata di tipo statale dei popoli Slavi, la quale però si sfascerà già all’inizio del X secolo. Si trattava di una sorta di “stato”, nato nell’833 sui due territori opposti bagnati dalle acque del fiume Morava (oggi Repubblica Ceca e Slovacchia) e che per alcuni decenni fu anche molto esteso, tanto da comprendere oltre all’odierna Moravia e Slovacchia, la Boemia, parte dell’Austria, l’odierna Ungheria, la Slovenia, parte della Croazia e della Serbia e qualche regione della Polonia. La collocazione storico-geografica della Grande Moravia era complessa perché stretta all’Occidente dall’Impero Franco e a Sud-Est dall’Impero, sorto a cavallo delle rive del Danubio medio e inferiore, del forte popolo Bulgaro. La Grande Moravia conoscerà un periodo di splendore culturale e religioso nella seconda metà del IX secolo con l’arrivo nell’anno 863 nel suo territorio dei due fratelli Costantino (Cirillo) e Metodio: tale anno è tradizionalmente indicato come quello del “battesimo” della Grande Moravia.

Da un punto di vista storico bisogna però affermare che qualche forma di Cristianesimo era certamente già presente nel vasto territorio prima di quella data: Carlo Magno, infatti, nell’805 aveva inviato in Moravia con le sue truppe anche alcuni missionari franco-bavaresi. È poi noto che nell’831 alcuni nobili moravi a Passau ricevettero il Battesimo e la stessa cosa avvenne nell’845 a Regensburg (Ratisbona) quando quattordici capi tribù boemi con il loro seguito, alla corte di Ludovico il Germanico (802-876), abbracciarono il Cristianesimo abbandonando i culti pagani.

Fondatore della Grande Moravia fu il principe moravo Mojmír I (795 ca – 846) che con la forza riuscì a unificare nell’833 il Principato della Moravia della quale era già sovrano con quello di Nitra (attuale Slovacchia). Quell’anno Mojmír I aveva infatti sconfitto il principe di Nitra Pribina che godeva dell’appoggio dei Franchi, il quale fuggendo, si era poi stabilito a Moosburg sul lago Balaton, in Pannonia. Qui aveva riunito sotto di sé alcune tribù slave e aveva ottenuto dal Re di Baviera, signore della Franconia orientale, Ludovico il Germanico nell’848 il titolo di sovrano, diventando feudatario dei Franchi. Mentre Mojmír era ancora pagano, Pribina si era già convertito al Cristianesimo e aveva fondato anche alcune chiese nella regione della Slovacchia, la prima delle quali già nell’830 presso il castello di Nitra che venne consacrata dall’Arcivescovo di Salisburgo Adalram; a Nitra, inoltre, già dall’828 vi era una comunità tedesca. Mojmír I, dopo la vittoria contro Pribina, si rivolse all’Imperatore del Sacro Romano Impero Ludovico il Pio (778-840), figlio di Carlo Magno, per chiedere che gli venisse concesso in feudo quello che sarà il nucleo iniziale della Grande Moravia, il territorio conquistato e la riva nord del Danubio. Questi acconsentì a patto che lui con il suo seguito si facesse battezzare, abbandonando la religione pagana, e così avvenne ad opera di missionari franco-tedeschi. Quando nell’846 Mojmír morì, salì sul trono fino all’870 il nipote Rostislav che avrà un ruolo molto importante nelle vicende legate ai due fratelli Cirillo e Metodio.

Per opera dei missionari franchi provenienti per lo più da Regensburg, da Passau e da Salisburgo la fede giunse, dunque, nella Grande Moravia in lingua tedesca e latina. I riti religiosi erano celebrati in latino così che erano incomprensibili alle popolazioni slave del territorio. L’operato di questi missionari, naturalmente, va inserito nel contesto socio-politico che vedeva i Franco-Tedeschi, eredi del Sacro Romano Impero, spingersi a dominare il territorio.

IL PRINCIPE ROSTISLAV SI RIVOLGE ALL’IMPERATORE ROMANO D’ORIENTE

Il Principe Rostislav, che nell’855 era riuscito ad impedire l’invasione del suo territorio da parte dei Franco-Tedeschi, aspirava ad avere anche un’istituzione ecclesiastica completamente indipendente da loro. In questo modo intendeva affermare la propria indipendenza politica da Ludovico il Germanico e affermare la propria autonomia anche culturale. Rostislav voleva che nella Grande Moravia si formasse un clero Slavo e, soprattutto, aspirava ad avere un “suo” Vescovo. A questo scopo, riconoscendone la giurisdizione, mandò un ambasciatore a Roma, dal Papa, chiedendogli di inviare nei suoi territori missionari capaci di diffondere la Parola di Dio in lingua slava; ma questa richiesta non ebbe seguito. Si rivolse allora, offrendo anche la propria alleanza, all’Imperatore di Costantinopoli che in quel momento era Michele III (842-867) chiedendo l’invio di “un vescovo e maestro... che fosse in grado di spiegare loro la vera fede cristiana nella loro lingua” (antica Vita di Costantino in lingua slava).

La richiesta del Principe della Moravia fu accolta positivamente a Costantinopoli anche perché la situazione politica era favorevole in quanto l’Imperatore in quel periodo mirava all’evangelizzazione dell’Impero Bulgaro che era ancora pressoché pagano; quindi Michele III riteneva molto utile avere alle spalle della Bulgaria la Grande Moravia convertita al Cristianesimo. L’Imperatore inoltre aveva a disposizione degli uomini di cultura ellenica e di formazione bizantina pronti ad affrontare questo compito.

COSTANTINO (CIRILLO) e METODIO

Il personaggio di punta era Costantino, detto “il filosofo” perché era uno degli uomini più dotti di tutto l’Impero Bizantino. Era nato nell’827 nel capoluogo della Macedonia a Tessalonica (in slavo Solun, ora Salonicco) nel Nord della Grecia, città seconda solo a Costantinopoli per importanza, nella quale si parlavano correntemente sia il greco sia un dialetto slavo poiché nel territorio macedone nel sec. VI e VII si erano insediate tribù slave. Patrono della città era il martire San Demetrio festeggiato il 26 ottobre.

Costantino, dopo i primi studi in patria con i precettori, a 14 anni, fu mandato a corte a Costantinopoli per completare la sua formazione. Qui fu allievo del futuro Patriarca Fozio e compagno di Michele, destinato a diventare imperatore. Dopo gli studi di filosofia e di teologia, venne ordinato sacerdote e per le sue doti fu scelto come bibliotecario presso la grande Basilica di Santa Sofia in Costantinopoli dove, in seguito, diverrà docente di filosofia salendo sulla cattedra che era stata del Patriarca Fozio.

Costantino si era già guadagnato la fiducia non solo dell’Imperatrice Teodora, reggente (842-856) per il figlio Michele III, ma anche il favore della Chiesa Bizantina, tanto che nell’850-851 fu incluso assieme a Fozio nella delegazione inviata in missione presso alcune città islamiche, pare a Samara e a Bagdad. La missione bizantina aveva lo scopo di ristabilire il buon vicinato con i califfi; in questa occasione Costantino si fece notare per le sue conoscenze e capacità dialettiche. Di ritorno, a Costantinopoli si stava svolgendo una lotta politica per il potere, la cosiddetta “rivoluzione di palazzo”, che portò al trono il giovane Michele III, ma che costò l’uccisione del Cancelliere Theoktistos, protettore a corte di Costantino, e l’eliminazione dell’imperatrice reggente. Costantino, dunque, non volendo rimanere coinvolto nelle vicende di corte decise di ritirarsi nel monastero Polychron presso il fratello Michele che ne era l’igumeno (ruolo simile a quello dell’Abate).

Costantino era infatti l’ultimo di sette fratelli, figli di Leone, di origini greche, alto funzionario bizantino col titolo di drungario di Tessalonica, cioè vicegovernatore e comandante militare di un reparto dell’esercito della provincia. Il padre troverà la morte nell’834 in uno scontro con una tribù di Slavi. La madre, secondo una tradizione, si chiamava Maria e forse era di origini slave. Il fratello maggiore, Michele, era nato nell’815 ca. e dopo gli studi giuridici a Costantinopoli e una promettente carriera amministrativa in cui raggiunse il titolo di Arconte (magistrato imperiale) in una provincia di frontiera in Macedonia presso il fiume Strymon, verso l’anno 850 decise di abbandonare potere e ricchezza e farsi monaco nel monastero Polychron sul monte Olimpo, allora noto col nome di Sacra Montagna, presso Cizico in Bitinia, località del Bosforo situata sul Mar di Marmara dirimpetto a Costantinopoli. Qui Michele ricevette il nome di Metodio (il nome monastico doveva cominciare con le stesse lettere di quello di Battesimo) col quale è universalmente conosciuto.

Nell’860-861 l’imperatore Michele III, memore della saggezza di Costantino, decise di richiamarlo dalla vita monastica e lo volle inserire in qualità di esperto di problemi religiosi e culturali in una delegazione diplomatica presso i Khazari che abitavano nella Russia meridionale, nella zona del Mare di Azov. Costantino allora chiese e ottenne di essere accompagnato dal fratello Metodio. Trascorrendo l’inverno in Crimea, Costantino, basandosi su alcune ricerche, riuscì ad individuare il 30 gennaio 861, in una chiesa su di una piccola isola, sembra nella baia di Kamys a Cherson, la presunta sepoltura del Papa San Clemente (terzo successore di San Pietro) lì morto perché esiliatovi da Traiano nell’anno 97, secondo una tradizione. Costantino porterà sempre con sé, con grande devozione, quelle che erano ritenute le reliquie del santo pontefice, prima a Costantinopoli e quindi, come vedremo, fino a Roma.

UN NUOVO ALFABETO PER I POPOLI SLAVI

Il “filosofo” Costantino coltivava una vocazione missionaria e con ogni probabilità pensava di poter diffondere il Vangelo tra i popoli di lingua slava, ma si rendeva conto che per evangelizzare e per rendere comprensibile e assimilabile la verità da annunciare, era indispensabile non solo parlare la lingua di quei popoli, ma anche poter scrivere con un alfabeto i suoni e le parole comuni a quelle popolazioni; fino ad allora, infatti, non esisteva nessun alfabeto adeguato. Costantino, che conosceva diverse lingue, inventò allora, con spirito missionario, l’antica scrittura slava basandosi soprattutto sui caratteri corsivi greci medioevali ed ebraici, ma aggiunse altri caratteri nuovi per poter accogliere i suoni dell’antica lingua slava, detta slavone, nacque così quella scrittura composta da 39 caratteri che viene chiamata glagolitico (“glagol” = parola). Grazie al nuovo alfabeto e con l’aiuto di linguisti bizantini, Costantino tradusse nella nuova lingua slava scritta una raccolta di testi del Vangelo, iniziando dal Prologo del Vangelo di Giovanni (“In principio era il Verbo...”), e da alcune preghiere liturgiche. Scrisse anche un’introduzione alla Bibbia, Proglas (lett. “Prefazione”) in glagolitico, che è considerata il primo poema slavo. È questa l’origine di una nuova lingua letteraria, nata con un’impronta religiosa, lingua scritta che poteva esser intesa da tutte le popolazioni slave per via della stretta somiglianza ancora esistente, a quel tempo, tra i diversi dialetti slavi. All’inizio della cultura slava non sta un mito come in altre civiltà, ma l’accoglienza della Parola di Dio.

Per i bizantini, diversamente dai latini, era naturale e legittimo che la liturgia venisse tradotta nelle lingue locali. Costantino grazie ai suoi studi e ai contatti con i cristiani incontrati nei suoi viaggi sapeva che erano numerose le popolazioni della cristianità orientale che utilizzavano per il culto la propria lingua. Sulla base di queste convinzioni Costantino e Metodio non ebbero timore ad usare la lingua slava nella liturgia, ben consapevoli della legittimità della loro scelta. Durante il Medioevo il paleoslavo era la terza lingua internazionale parlata in Europa dopo il latino e il greco.

L’OPERA DI COSTANTINO (CIRILLO) E METODIO MISSIONARI NELLA GRANDE MORAVIA

Quando l’Imperatore di Costantinopoli decise di inviare i missionari, il trentacinquenne Costantino aveva, dunque, già pronta la scrittura dello slavone e le prime traduzioni. Così Costantino col fratello Metodio e con alcuni loro discepoli dei quali conosciamo anche alcuni nomi, Clemente di Ocrida, Costantino di Preslav, Naum, Angelario, Sava e Lorenzo, partirono per la Grande Moravia che raggiunsero nell’863 seguendo le antiche strade romane: da Costantinopoli passarono ad Adrianopoli, quindi a Filippopoli, Sardica (l’odierna Sofia), Naissus (Nish), Singidunum (Belgrado), Sirmium (Mitrowitz). Da qui seguirono il corso del Danubio, attraversarono la Pannonia, passando per Buda e Carnuntum (Petronell) fino a raggiungere la regione bagnata dal fiume Morava.

Con l’appoggio del Principe Rostislav – per la verità un po’ deluso perché si attendeva un Vescovo – immediatamente si impegnarono con notevoli consensi nel lavoro missionario. Costantino e Metodio si rivolgevano alla popolazione in lingua slava, dimostrando di saper tradurre non solo con le parole, ma con una sensibilità e un “cuore slavo” il messaggio evangelico arricchito della tradizione dell’Oriente Cristiano e della loro stessa esperienza religiosa. La popolazione morava accolse molto bene questi missionari soprattutto perché si facevano capire usando immagini e concetti a loro familiari ed erano in grado di parlare la loro lingua che in quei tempi non era molto diversa dallo slavo parlato vicino a Tessalonica. Molti pagani allora si convertirono e chiedevano il Battesimo. I missionari franco-tedeschi erano invece fermi all’idea carolingia che il latino dovesse essere indiscutibilmente la lingua degli atti civili e religiosi, a suo modo segno dell’unione dei due poteri e quasi garanzia della compattezza politica. A Devin, nell’attuale Slovacchia, sede principale di Rostislav, con questo spirito missionario i due fratelli Costantino e Metodio diedero origine ad una scuola nella quale si insegnava a leggere e a scrivere lo slavone col nuovo alfabeto glagolitico che diventò un fenomeno culturale e spirituale per quell’epoca. Malgrado la breve esistenza di questa scuola (864-885) questo istituto scolastico può essere considerato come il luogo di nascita della letteratura slava.

Nel frattempo Costantino e Metodio avevano tradotto in paleo-slavo oltre al Messale romano scritto in lingua latina – che i moravi già conoscevano perché evangelizzati nella prima metà del secolo IX da missionari franchi i quali celebravano la Santa Messa in latino – anche il testo più in uso per la celebrazione eucaristica nella Chiesa Bizantina, la Divina liturgia di San Giovanni Crisostomo (IV sec.) e alcuni Salmi e canti religiosi. Costantino celebrava infatti in lingua locale, con ogni probabilità, col Messale Romano tradotto, cosa che non piaceva ai missionari e ai Vescovi franco-tedeschi che erano molto diffidenti nei confronti di queste nuove esperienze liturgiche; inoltre il Vescovo di Passau, Hermanricus, si era premurato di far presente ai due fratelli bizantini che il territorio moravo era parte della sua giurisdizione. Nonostante queste opposizioni l’insegnamento dottrinale, la liturgia slava e il nuovo alfabeto si diffusero in modo sorprendente.

Si narra nella “Vita di Costantino” in lingua slava (Cirillo) che i due fratelli argomentavano così la loro scelta di annunciare il Vangelo nella lingua dei popoli slavi: “Dio non fa forse cadere la pioggia su tutti ugualmente? E il sole non risplende forse ugualmente su tutti? Non respiriamo forse ugualmente tutti nell’aria? Voi invece non vi vergognate di fissare tre sole lingue [ebraico, greco e latino], decidendo che tutti gli altri popoli e stirpi restino ciechi e sordi! Ditemi: lo sostenete perché considerate Dio debole tanto da non essere in grado di conoscere [tutte le lingue], oppure invidioso, così da non volerlo? Noi in verità conosciamo molte genti che danno lode a Dio ciascuna nella sua lingua... Ascoltate la Sacra Scrittura: ‘Ogni terra canti al Signore, cantate al Signore un cantico nuovo’ (Sal 96)... e Marco (16,15-16) a sua volta scrive: ‘Andando nel mondo intero predicate il Vangelo ad ogni creatura, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo’”.

GLI APOSTOLI DEGLI SLAVI A VENEZIA

Dopo tre anni e mezzo di missione in terra morava Costantino e Metodio nell’866 decisero di far ordinare i primi sacerdoti slavi e credettero di poterlo fare non rivolgendosi ai Vescovi di riferimento per il territorio, ma a Costantinopoli, luogo di partenza della loro missione, tale e tanta era la tensione che si era venuta a creare in Moravia per la rivalità tra missionari Franchi e Bizantini. I due fratelli, volendo probabilmente raggiungere Costantinopoli via mare, lasciarono, dunque, la Grande Moravia dirigendosi verso Sud, entrarono così in Pannonia dove trovarono ospitalità alla corte di Kocel, Principe (dall’862 all’874) degli Slavi stanziati nella regione del lago Balaton, figlio del già citato Pribina, che assicurò un appoggio entusiasta alla loro missione anche perché, come Rostislav, desiderava liberarsi dall’ingerenza franco-tedesca.

Seguendo il percorso delle antiche strade romane la numerosa delegazione passò per Ptuj, Celie, Ljubljana, Logatec e attraverso il passo del Tarvisio giunse ad Aquileia che era sede del patriarcato, da qui a Venezia nella tarda estate dell’867, probabilmente con l’intenzione di imbarcarsi per Costantinopoli. A Venezia il “filosofo” Costantino ebbe modo di difendere le proprie scelte pastorali circa l’utilizzo della lingua locale nella liturgia in un pubblico dibattito con i chierici latini: stando a un biografo contemporaneo, Costantino avrebbe addirittura accusato di eresia la teoria delle tre lingue che affermava che solo l’ebraico, il greco e il latino potevano essere usate nella liturgia, giungendo a definire gli avversari “pilatini”, a ricordo del fatto che l’iscrizione fatta scrivere da Pilato sulla croce era in quelle tre lingue.

Scrive il Papa San Giovanni Paolo II nell’Enciclica Slavorum Apostoli (n. 17): “A Venezia, davanti ai rappresentanti della cultura ecclesiastica, che essendo attaccati ad un concetto piuttosto angusto della realtà ecclesiale, erano contrari a questa visione, San Cirillo (Costantino) la difese con coraggio, indicando il fatto che molti popoli avevano già introdotto in passato e possedevano una liturgia scritta e celebrata nella propria lingua, come ‘gli Armeni, i Persiani, gli Abasgi, i Georgiani, i Sugdi, i Goti, gli Avari, i Tirsi, i Khazari, gli Arabi, i Copti, i Siriani e molti altri’ (Vita Constantini)”. Costantino si dimostrò un’altra volta molto abile nella dialettica; sapeva controbattere facendo appello a testi biblici: “A te si prostri tutta la terra, a te canti inni, canti al tuo nome” (Sal 66,4); “Lodate il Signore, popoli tutti, voi tutte, nazioni, dategli gloria” (Sal 117,1), “Ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore a gloria di Dio Padre” (Fil 2,11), “...se con la lingua voi non pronunciate una parola facilmente comprensibile, come si saprà ciò che viene detto?” (1Cor 14,9).

Con ogni probabilità mentre i due fratelli con i discepoli aspettavano a Venezia la partenza di qualche nave per il Corno d’Oro, furono raggiunti dai messi di Papa Niccolò I che li invitava a Roma. Le differenze di sensibilità tra Costantinopoli e Roma avevano iniziato a profilarsi proprio in questo secolo anche se la scissione tra Cattolici e Ortodossi era ancora molto lontana e la Chiesa era TOGLIERE ancora c’e’ gia’ nella riga sopra unita; i due fratelli accolsero di buon animo l’invito dell’apostolicus riconoscendo in definitiva l’autorità del Papa anche sulla loro missione. Scrive il Papa Giovanni Paolo II nell’Enciclica Slavorum Apostoli (12): “La caratteristica che desidero in maniera speciale sottolineare nella condotta tenuta dagli apostoli degli Slavi, Cirillo (Costantino) e Metodio, è il loro modo pacifico di edificare la Chiesa, guidati dalla loro visione della Chiesa una, santa e universale”. Tanto il Papa, quanto Costantino e Metodio con ogni probabilità ancora non sapevano che a Costantinopoli proprio in quello stesso periodo era cambiato sia l’Imperatore Romano d’Oriente – Michele III era stato ucciso – sia il Patriarca Fozio che era stato spodestato.

GLI APOSTOLI DEGLI SLAVI A ROMA

Quindi nell’867 i due fratelli con un folto gruppo di discepoli si recarono così a Roma da Venezia percorrendo prima la Via Romea che passava per Pomposa, Ravenna e Rimini, quindi seguirono la Via consolare Flaminia che attraversava le località di Pisaurum (l’odierna Pesaro), Fanum Fortunae (Fano) passando per Forum Sempronii (Fossombrone), discendeva lungo la valle del fiume Metauro conducendo alla valle del Burano attraverso la galleria romana (forulum) scavata nella Gola del Furlo (tuttora esistente) per giungere al passo della Scheggia (m 632) che permetteva di attraversare gli Appennini; attraversato il Ponte Centesimo (così chiamato perché a 100 miglia da Roma), la Via Flaminia raggiungeva Nuceria Camellaria (Nocera Umbra) e Forum Flaminii (San Giovanni Profiamma), quindi Fulginium (Foligno) e Spoletium (Spoleto) per giungere a Interamna (Terni); da qui la via portava a Narnia (Narni) e passando sopra al Ponte di Augusto usciva dall’Umbria a Ocriculum (Otricoli), per toccare Faleri Veteres (Civita Castellana) da dove seguiva la valle del Tevere ed entrava in Roma.

I due fratelli giunsero in città attraversando il ponte Milvio durante l’inverno 867 portando con sé anche le reliquie del Papa San Clemente. Qui incontrarono il successore di Niccolò, il mite Adriano II (867-872) che andò loro incontro in processione e li accolse con grande onore. Le reliquie di San Clemente trasportate con tanta devozione da Costantino e Metodio vennero allora deposte nella chiesa risalente al IV secolo, sita a 300 metri dal Colosseo, già dedicata al santo Papa martire. Costantino e Metodio convinsero poi l’apostolicus Adriano della bontà della loro scelta di evangelizzare la Grande Moravia utilizzando la lingua del popolo. Il Papa approvò allora pienamente il loro operato e probabilmente anche l’uso del Messale Romano tradotto in slavo.  Adriano II volle poi che i libri liturgici paleoslavi venissero deposti sull’altare e conservati presso la Basilica di Santa Maria di Phatmè (oggi Santa Maria Maggiore all’Esquilino) “e su di essi venne cantata la sacra liturgia” ed inoltre permise loro di celebrare la Messa nelle basiliche romane di San Pietro, Santa Petronilla, Sant’Andrea e San Paolo in lingua slava così che ufficialmente l’antico slavo ecclesiastico divenne la quarta lingua liturgica, al pari dell’ebraico, del greco e del latino.

Nell’868 il Papa acconsentì che venisse conferito a due discepoli slavi il Lettorato e a tre l’Ordinazione Sacerdotale, tra questi certamente a Metodio e a Gorazd, originario da una nobile famiglia dei dintorni di Nitra.  Stando all’antica Vita di Costantino scritta in lingua slava e attribuita a Gorazd la consacrazione fu opera dei vescovi Gauderico, amico dei fratelli, e Formoso [poi Papa] che due anni prima aveva capeggiato una spedizione di missionari in Bulgaria, dove il principe Boris aveva deciso di far abbracciare il cristianesimo a tutta la sua gente. 

Probabilmente i motivi che spinsero Papa Adriano II a sostenere le scelte pastorali degli “Apostoli degli Slavi” furono da una parte la loro grande popolarità, poi il fatto che godevano dell’appoggio dei Principi Slavi dell’Europa centrale, Rostislav e Kocel, e infine il desiderio di sottrarre Moravia e Pannonia alla giurisdizione del clero franco per affermarne la loro diretta sottomissione alla Santa Sede.

Costantino, da sempre gracile in salute, nell’869 si ammalò gravemente. Non avendo le forze per intraprendere un viaggio di ritorno decise di restare a Roma e di vestire l’abito monastico nel monastero greco della città che già ospitava la numerosa delegazione, monastero sito presso la Basilica di Santa Prassede (non lontano dalla Basilica di Santa Maria Maggiore), e qui – secondo l’usanza dei Bizantini – prese il nome con il quale è più comunemente noto di Cirillo (Kyrillos). Ma solo 50 giorni più tardi, all’età di 42 anni, moriva il 14 febbraio. Papa Adriano volle che si facesse il funerale con il rito per i pontefici; venne quindi sepolto nella Basilica di San Clemente sulla destra dell’altare “presso il Santo di cui, con tanto fervore, aveva riportato il corpo a Roma”. Cirillo venne subito venerato come santo.

METODIO ARCIVESCOVO DELLA PANNONIA E DELLA GRANDE MORAVIA

Nel frattempo il Principe Kocel si era rivolto al Papa chiedendo l’invio del missionario Metodio come Vescovo della Pannonia “nella sede di Sant’Andronico”. Metodio venne allora consacrato Vescovo nell’869 da Papa Adriano II e nominato alla grande giurisdizione dell’antica sede di Sirmio (Sirmium / Mitrowitz, oggi Sremska Mitrovica, in Serbia) col titolo di Archiepiscopus pro fide e di Legatus apostolicus ad gentes slavas sedis a latere cioè legato apostolico per le popolazioni slave che vivevano in Moravia e per quelle che abitavano le antiche provincie romane della Pannonia Superior (che comprendeva l’attuale Ungheria, la Slovacchia e parte dell’Austria e la Slovenia) e della Pannonia Inferior (che comprendeva l’attuale Serbia, Croazia, Bosnia-Erzegovina). Metodio con questo tipo di nomina non aveva in realtà una sede episcopale fissa e neanche i confini del suo territorio erano stati ben definiti; Metodio, con i suoi discepoli, era libero di andare e fermarsi dove lo avrebbe condotto il bisogno e lo spirito missionario. Quindi mai Metodio fu Vescovo residente né dell’antica sede di Sirmio, né di Nitra. La Chiesa di Roma con questa nomina voleva così riaffermare la propria giurisdizione sul territorio illirico che un secolo prima era passato ai Bizantini e compensare la recente perdita del territorio della Bulgaria che ormai faceva riferimento a Costantinopoli. Il Papa probabilmente sperava che la nomina episcopale di Metodio ponesse fine alle prerogative dei missionari franchi provenienti dalla Baviera e dall’Austria del Nord, ma non fu così. Approfittando anche del fatto che Rostislav era stato deposto e consegnato alla truppe tedesche dal nipote Svatopluk (870-894) che aveva stretto alleanza con i Franco-Tedeschi, a Metodio giunto in Pannonia gli fu proibito di raggiungere la Moravia perché arrestato dal Vescovo di Passau, Hermanrich, che giunse a torturarlo nel suo castello e nell’870 lo trascinò davanti a un sinodo a Regensburg, secondo altri a Salisburgo. Qui alla presenza dei vescovi Hermanrich e Hanno di Frisinga, Adalwin, Arcivescovo di Salisburgo, fingendo di ignorare sia la dignità episcopale di Metodio che l’insediamento autorizzato dal Papa, dopo animatissime discussioni, ottenne la sua deposizione con questi capi d’accusa: “...Tu insegni nel nostro territorio... Con i tuoi sistemi filosofici e con un alfabeto slavo di recente invenzione, hai soppresso la lingua latina e la dottrina romana e reso spregevole a tutto il popolo di Dio il divin sacrificio e la lettura dei Vangeli, nonché l’intero officium ecclesiastico di coloro che utilizzano il latino” (Vita di Metodio).

Metodio, con questi capi d’accusa, venne allora rinchiuso da Ludovico il Germanico nella torre di un monastero, pare a Ellwangen nella provincia di Wurttenberg dove Hermanrich, a suo tempo, era stato monaco benedettino. Metodio cercò allora di informare Roma dell’accaduto, ma il debole Adriano II non volle imporsi. Solo nell’873 a distanza di due anni e mezzo, con il nuovo Papa Giovanni VIII (872-882), Roma intervenne con fermezza ordinando al re di Baviera e ai Vescovi latini di rilasciare Metodio; per dirimere la questione nominò poi quale legato personale per la Germania e la Moravia il Vescovo Paolo di Ancona con l’incarico preciso di scortare in Moravia l’Arcivescovo Metodio e di rammentare a quelle popolazioni come gli imprescindibili diritti di Roma dovessero avere la precedenza sulle pretese del Vescovo di Salisburgo. Successivamente l’energico pontefice convocò a Roma, con la minaccia della sospensione “a divinis”, i Vescovi che avevano partecipato alla deposizione di Metodio.

Il principe di Nitra, Svatopluk che nell’874 aveva scacciato il sovrano Kocel e occupato la Pannonia estendendo in tal modo notevolmente i confini della Grande Moravia e crescendo in autorità e potere nel cuore dell’Europa, cercò a sua volta di liberarsi del Vescovo Metodio inoltrando a Roma accuse contro la sua liturgia e la sua dottrina (pare che nel Credo non aggiungesse come i greci l’espressione filioque). Giovanni VIII ordinò allora a Metodio di recarsi a Roma ad limina Apostolorum; nell’880 si presentò, dunque, e non ebbe difficoltà a provare di fronte ad una commissione di Vescovi che lo interrogavano l’infondatezza delle accuse. Il Papa quindi inviò nel giugno 880 a Svatopluk la bolla Industriae tuae con la quale esprimeva apprezzamento per l’attività missionaria svolta, riaffermava la costituzione di una nuova provincia ecclesiastica per le popolazioni slave indipendente dai Vescovi tedeschi con a capo Metodio e approvava non solo che si predicasse ma anche che si celebrasse la Messa in lingua slava, poiché: “Non è certamente contrario alla fede o alla dottrina cantare la Messa o leggere il santo Vangelo o le lezioni divine del Nuovo e dell’Antico Testamento ben tradotte e interpretate oppure cantare gli altri Uffici delle ore in slavo, perché Colui che ha creato le tre lingue principali, ha creato anche per la sua lode e gloria tutte le altre”. Come unica restrizione poneva che “in considerazione del maggior rispetto dovutogli”, il Vangelo avrebbe dovuto esser letto prima in lingua latina. Ma nella stessa bolla pontificia, venendo incontro alle richieste del Principe della Grande Moravia, il Papa nominava e consacrava Vescovo a Roma il tedesco Viching, già consigliere di Svatopluk, per la nuova diocesi di Nitra (Slovacchia). Questi, benché suffraganeo di Metodio, sarà un suo rivale nell’evangelizzazione, unendo la sua voce a quella dei missionari franchi che contestavano l’inculturazione pastorale e non volevano rinunciare ai territori che fino ad un decennio prima facevano riferimento solo alla loro giurisdizione.

GLI ULTIMI ANNI DELL’EPISCOPATO DI METODIO

Lasciata Roma nell’estate 880, Metodio con il suo seguito di sacerdoti e discepoli decise di raggiungere la Moravia per un’altra via. Per evitare i territori con una forte presenza di missionari franco-tedeschi, si imbarcò presumibilmente ad Ancona per Spalato per raggiungere via mare la Dalmazia, ormai popolata anch’essa da tribù slave (Croazia). Seguendo poi le antiche vie romane per raggiungere la Moravia ebbe modo di lasciare traccia del suo passaggio anche tra quelle popolazioni.

Negli anni a seguire, Metodio e i suoi discepoli continuarono il lavoro di consolidamento della chiesa in terra morava e in Pannonia facendo ampio uso della lingua locale. Nel cap. 15 della Vita di Metodio in lingua slava attribuita anch’essa al discepolo san Gorazd si dice: “… Metodio scelse tra i suoi discepoli due sacerdoti che scrivevano rapidamente e, in poco tempo, tradussero per intero tutti i libri [non ancora tradotti della Bibbia] dalla lingua greca allo slavo ad eccezione dei Maccabei. Ciò fu fatto in sei mesi, da marzo al 26 ottobre. Quando ebbe terminato, lodò Dio e lo glorificò, ringraziandolo per avergli accordato un tale favore e un così grande risultato. Celebrò allora i santi Misteri col suo clero, onorando la memoria di San Demetrio”. Vennero poi tradotti i libri degli Uffici liturgici, un libro bizantino di Diritto canonico e civile, detto Nomocanone (la legge sudnyj ljudem è il primo atto giuridico scritto nell’antico slavo) e alcune opere dei Padri della chiesa. Le traduzioni erano fedeli e dotate di una naturale freschezza; per far questo i traduttori furono costretti a creare anche parole ed espressioni nuove arricchendo così il bagaglio lessicale slavo. L’instancabile attività missionaria di Metodio che portava molti pagani alla conversione e al Battesimo era coronata dalla formazione di un clero locale di lingua e cultura slava.

La tradizione fa risalire a Metodio anche la conversione e il Battesimo in lingua slava del primo duca cristiano della Boemia Borivoj (850-894) con la moglie Ludmila (Santa) in una data imprecisata, pare nell’anno 874. Sembra però più probabile che fossero stati i loro figli, i duchi Spitigniev I (895 ca – 915) e Vratislav I (915-921, padre di San Venceslao), a far giungere in terra boema i missionari franchi, a riceverne il Battesimo e a far costruire le prime chiese.

Nella già citata Vita di Metodio si ricorda che nell’881-882 l’Arcivescovo della Pannonia si recò nella nuova Roma, Costantinopoli, che aveva lasciato nell’863 probabilmente per cercare sostegno alla propria missione: anche qui Metodio venne accolto con grande solennità ed onore sia dal Patriarca Fozio – ristabilito nel proprio ruolo – sia dall’Imperatore Basilio II che confermarono la legittimità e l’ortodossia del suo operato. L’Imperatore fece poi accompagnare Metodio in Moravia da una scorta ufficiale, colmo di doni e di oggetti religiosi.

I successori di papa Giovanni VIII, Marino I (882-884) e Adriano III (884-885) continuarono ad appoggiare la missione di Metodio.

Questi poi, prima di morire, designò come suo successore nella missione episcopale Gorazd con queste parole: “Questo è un uomo libero della vostra terra, dotto nei libri latini e di fede retta”.

Metodio morì durante la Settimana Santa in terra morava il 6 aprile 885, all’età di 70 anni. Molto solenni furono i funerali – a cui non parteciparono né Svatopluk, né Viching – durante i quali la liturgia venne celebrata in latino, in greco e in slavo. Si legge nella Vita di Metodio: “Così si aggiunse ai suoi padri, sia patriarchi che profeti, apostoli, dottori, martiri. Radunatosi il popolo in folla innumerevole, lo andava accompagnando con ceri, piangendo il buon maestro e il buon pastore; tutti v’erano: uomini e donne, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, orfani e vedove, stranieri e gente del paese, sani ed ammalati; perché Metodio si era fatto tutto a tutti per condurre tutti a salvezza (cfr 1Cor 9,22)”.

La cronaca riferisce che fu sepolto “sul lato sinistro della parete dietro l’altare della Vergine Maria”  nella chiesa che lui stesso aveva fatto edificare (s’bor’něji crk’vi).  Ma, a tutt’oggi, la località precisa non è stata identificata anche perché nelle loro scorrerie i Magiari che di lì a poco invaderanno  il territorio seminarono devastazioni e distruzioni. Nella località morava di Sady nel distretto di Uherské Hradiště, un tempo cuore della Grande Moravia (ora nella provincia di Zlín – Repubblica Ceca al confine con la Slovacchia), scavi archeologici hanno messo in luce un monastero risalente al IX secolo che potrebbe essere quello della comunità di Metodio, dove forse venne anche sepolto. A qualche decina di chilometri da quel luogo passando per la località di Staré Město (lett. Città Vecchia) si giunge a Velehrad, dove dal 1200 sorge un famoso grande santuario fondato dai Cistercensi dedicato all’Assunzione della Vergine Maria, in cui è particolarmente vivo il culto ai due fratelli Apostoli degli Slavi, meta di numerosi pellegrinaggi, il più importante dei quali, dalla seconda metà dell’800, si tiene ogni anno il 5 luglio. Nel 1985 il Papa Giovanni Paolo II, in occasione del 1100° anniversario della morte di Metodio, volle fregiare il santuario della rosa d’oro, consegnata dal Card. Segretario di Stato Agostino Casaroli, la massima onorificenza che vantano i santuari più importanti della cristianità. Qui poi, subito dopo la caduta del muro di Berlino, il 22 aprile 1990 si volle personalmente recare il Papa slavo.

I DISCEPOLI DI CIRILLO E METODIO

La missione Cirillo-Metodiana durò 22 anni e segnò in modo indelebile la storia religiosa e culturale della Grande Moravia e più in generale dei popoli slavi. L’opera missionaria dei due fratelli era stata intrapresa in una cristianità che, nonostante la crescente tensione tra Oriente e Occidente, aveva ancora la consapevolezza di costituire un corpo solo.

Tuttavia appena Metodio morì, il principe Svatopluk che voleva la pace con i Franchi-Tedeschi e che ammirava il loro stile di vita, si dichiarò ancora disposto ad accogliere in Moravia e nella pianura pannonica i missionari “latini” a costo anche di sottomettersi di nuovo alla diocesi di Passau e all’arcidiocesi di Salisburgo e così avvenne. Nel frattempo il Vescovo Viching si era recato a Roma dal nuovo pontefice Stefano V (885-891) dal quale si fece rilasciare una lettera con la quale gli veniva conferita la giurisdizione sul territorio governato dal principe Svatopluk e nella quale si biasimavano le innovazioni di Metodio, anzi si colpivano con l’anatema tutti coloro che avessero fatto uso della lingua slava durante le liturgie, la quale poteva al massimo essere utilizzata per la catechesi e l’omelia. Con questa decisione la Chiesa slavo-romana con la sua “nuova” liturgia sorta sulle rive dei fiumi Morava e Tibisco venne completamente annientata nel paese d’origine, la Moravia, e ricacciata nella clandestinità.

Allora la maggior parte dei discepoli slavi di Costantino e Metodio fuggirono e si rifugiarono chi in Boemia, chi in Polonia, chi in Dalmazia, chi in Serbia e la maggior parte in Bulgaria. Alcuni di loro raggiunsero i confini meridionali della Polonia che corrono lungo i Carpazi e battezzarono nel IX secolo la tribù dei Vislani, altri trovarono rifugio a Poznam e a Gniezno dove nel 966 venne battezzato il primo sovrano della Polonia della dinastia Piast di nome Mieszko che aveva sposato la principessa boema Dubravka. I sacerdoti Clemente di Ocrida, Naum e Angelario, assieme ad alcuni compagni di cui non si conosce il nome, furono tratti in arresto ed espulsi dalla Moravia. Clemente di Ocrida che raggiunse Belgrado, allora città del Regno Bulgaro, venne ordinato Vescovo di Velika (Macedonia) – “primo tra le genti di lingua slava a ricevere l’episcopato”, scrive un suo antico biografo – nel cui territorio un altro discepolo Naum aveva edificato un importante monastero. Non si hanno notizie precise di Sava che morì in terra bulgara e nemmeno di Angelario le cui spoglie riposano presso Berat, ora in Albania.

Alcuni discepoli di Cirillo e Metodio vennero anche torturati e uccisi, altri venduti al mercato degli schiavi di Venezia dove furono riscattati da un funzionario di Costantinopoli che concesse loro di recarsi come missionari nei paesi slavi dei Balcani. Molti di questi furono ben accolti in Macedonia e a Preslav, capitale del Regno Bulgaro – governato dal re cristiano Boris (Santo) che si era convertito nell’864 – dove un discepolo di nome Costantino divenne Vescovo.

Quanto a Gorazd, dopo la morte di Svatopluk e di Viching, il nuovo sovrano Mojmír II (894-906) che aspirava restaurare l’opera missionaria slava, fece richiesta alla Santa Sede nell’898 e ottenne che il discepolo di Cirillo e Metodio venisse consacrato Arcivescovo della Grande Moravia. Ma con la calata dei Magiari che segnarono la fine della Grande Moravia, Gorazd fu costretto a fuggire, qualcuno sostiene in Boemia, altri in Bulgaria, ma più probabilmente in Polonia.

I discepoli degli Apostoli degli Slavi sono venerati come santi sia dalla Chiesa d’Oriente (“il santo settenario”: Cirillo, Metodio, Clemente, Sava, Angelario, Gorazd e Naum) che da quella d’Occidente: mentre la Chiesa Bulgara dedica loro singole feste, la chiesa cattolica li venera il 27 luglio come “Santi Apostoli della Bulgaria”.

Ora, proprio nella capitale bulgara Preslav la liturgia slava assunse il suo carattere definitivo e anche lo slavone, abbandonando l’originaria scrittura glagolitica, si vestì di caratteri che l’avvicinava maggiormente al maiuscolo greco, il cosiddetto – in onore di Cirillo che ne fu l’ispiratore – alfabeto cirillico bulgaro-russo, che assicurò alla scrittura una rapida diffusione. Dalla Bulgaria infatti il Cristianesimo raggiunse attraverso la Romania l’antica Rus’ di Kiev e da lì si estese ad oriente fino a Mosca. L’alfabeto cirillico è tuttora usato con alcune varianti da paese a paese in Bulgaria, in Macedonia, in Serbia, in Ucraina, in Bielorussia e in Russia, mentre in Romania fu utilizzato fino al 1860. Le altre popolazioni slave come Cechi, Moravi, Polacchi, Croati, Sloveni, Slovacchi... adottarono per la scrittura l’alfabeto latino. L’antico glagolitico che non ha distinzione tra lettere maiuscole e minuscole si è invece conservato come lingua liturgica in Croazia e sulla costa dalmata. La diaspora dei discepoli di Cirillo e Metodio portò così alla diffusione dell’alfabeto cirillico e del Vangelo realizzando un progetto di dimensioni continentali. Con l’ingresso della Bulgaria nell’Unione europea l’alfabeto cirillico è diventato il terzo alfabeto ufficiale dell’UE assieme a quello latino e greco. Oggi la famiglia linguistica del ceppo slavo comprende 16 lingue (russo, ucraino, bielorusso, ruteno, ceco, slovacco, sorabo superiore, sorabo inferiore, polacco, casciubo, sloveno, croato, bosniaco, serbo, bulgaro, macedone) e molti dialetti.

La Grande Moravia con la morte del principe Svatopluk nell’894 si sfasciò a causa della lotta per il potere sorta tra i figli e per le incursioni magiare; in quell’anno la regione superior della Pannonia passò ad Arnolfo di Carinzia, mentre la inferior al principe di Croazia, Brazlav. Fatale fu anche la decisione di espellere dal territorio i discepoli di Metodio perché la Grande Moravia altro non era che un libero assemblaggio di tribù slave alcune conquistate, altre alleate, altre infeudate che avevano trovato la loro identità culturale e nazionale nella dignità di una lingua scritta e celebrata; ora alcune di queste tribù, non volendo saperne di sottostare al potere tedesco, ruppero i patti permettendo così alle tribù nomadi degli Ungheresi che premevano ai confini di penetrare e di distruggere, all’inizio del X secolo, quello che restava della Grande Moravia. Il collasso definitivo infatti giunse nel 906 ad opera della dinastia pagana dei Magiari Árpád che dopo aver invaso il territorio ne permisero lo smembramento: parte alla nascente Polonia, l’attuale territorio della Slovacchia venne incorporato nell’alta Ungheria, mentre la regione Morava passò sotto l’autorità dei duchi di Boemia. Da allora la regione Moravia, già convertita al cristianesimo, vive il connubio con la Boemia che solo lentamente cedette i costumi pagani a favore della religione cristiana; si pensi che nella Selva Boema il cristianesimo fu portato solo nell’XI sec. dall’eremita Günther (m. 1045) da Niederaltaich.

LA TRADIZIONE CIRILLO-METODIANA

La tradizione cirillo-metodiana non fu però subito estinta, ma proseguì fino alla fine dell’XI secolo soprattutto grazie al monastero benedettino di Sázava fondato dall’eremita San Procopio dove si continuava ad utilizzare la scrittura glagolitica e vi si trascrivevano i testi sacri per uso liturgico utilizzando l’antico slavo ecclesiastico, questo fino all’anno 1096 quando i monaci furono forzatamente latinizzati ed in seguito il monastero fu trasformato in un castello. La tradizione cirillo-metodiana sarà rinnovata, ma molto più tardi, dall’imperatore Carlo IV di Lussemburgo che volle edificare a Praga nel 1347 nella Città Nuova (Nové Mesto) da lui fondata un monastero detto “Emmaus” (na Slovanech Emauzy) nel quale si conservasse, attraverso laboratori di scrittura, la lingua liturgica slava antica risalente al ciclo cirillo-metodiano e nel quale le celebrazioni fossero secondo gli antichi riti con lo scopo di rafforzare i rapporti col popolo slavo. Per la fondazione chiamò dalla Dalmazia e dalla Croazia monaci benedettini di rito orientale che conoscessero il glagolitico e lo slavone; il monastero ebbe un notevole impatto positivo sulla popolazione tanto che nel volgere di qualche decennio gemmò due nuovi monasteri, uno nella Bassa Slesia nella città di Oleśnica e l’altro in Polonia, a Cracovia nel quartiere Kleparz nella Chiesa Benedettina di Santa Croce.

Una ripresa più che della liturgia paleo-slava, dell’utilizzo della lingua slava durante le celebrazioni eucaristiche si avrà ancora col teologo riformatore Jan Hus, sacerdote cattolico praghese arso vivo nel 1415 a Costanza come eretico. Dopo questo tragico evento vi fu nelle terre boeme e morave la “normalizzazione” imposta dagli Asburgo che con i Gesuiti imposero il cattolicesimo romano con l’uso della lingua latina.

La tradizione cirillo-metodiana fu riscoperta soprattutto nel 1800 che fu il secolo del risorgimento nazionale che iniziò come risorgimento anzitutto culturale. Nel XIX secolo la popolazione slava autoctona quasi rischiava di scomparire perché da diversi secoli si attuava la germanizzazione del territorio; si correva il rischio anzitutto di perdere la lingua slava e fu opera di molti patrioti slavi e di molti sacerdoti della chiesa cattolica la riscoperta della tradizione. Così in occasione del millenario dell’arrivo di Cirillo e Metodio nella Grande Moravia, nel 1863 furono organizzati grandi pellegrinaggi a Velehrad soprattutto di Cechi, di Slovacchi, di Croati e di Sloveni. Poi un altro grande pellegrinaggio a Velehrad nel 1885 nella ricorrenza del millesimo anniversario della morte di Metodio. Tra i due pellegrinaggi, in occasione del giubileo millenario della bolla Industriae tuae, il Papa Leone XIII emanò il 30 settembre 1880 l’enciclica Grande Munus che introduceva la festività liturgica dei Santi Cirillo e Metodio nel calendario universale della Chiesa cattolica nella data già stabilita da Pio IX per il culto locale del 5 luglio. Nel 1897 tale memoria dei Santi venne spostata dalla Santa Sede al 7 luglio. Dopo il Concilio Vaticano II la festa è stata trasferita al 14 febbraio, giorno della morte a Roma di Cirillo. La Chiesa Ortodossa ricorda invece i due fratelli Apostoli degli Slavi il giorno 11 maggio.

Con la caduta dell’Impero Austro-Ungarico nel 1918 al termine della Prima Guerra Mondiale si costituì la Repubblica Cecoslovacca all’insegna del motto “Via da Vienna, via da Roma” perché in quel momento la Chiesa cattolica veniva quasi identificata col potere asburgico e quindi per alcuni anni la repubblica ebbe difficili rapporti col Vaticano. In questo clima culturale vi fu però una riscoperta della tradizione cirillo-metodiana alla quale il Papa Pio XI rispose nel 1927 con la Lettera Apostolica indirizzata ai Vescovi della Jugoslavia e della Cecoslovacchia Quod Sanctum Cyrillum nella quale dava questa folgorante definizione dei due fratelli: “Figli dell’Oriente, di patria bizantini, d’origine greci, per missione romani, per i frutti Apostoli degli Slavi”.

CIRILLO E METODIO PRECURSORI DELL’ECUMENISMO ED ESEMPI DI INCULTURAZIONE

Il Concilio Vaticano II nel Decreto Ad Gentes (7 dicembre 1965), dedicato all’attività missionaria della Chiesa, al n. 21 affermava: “Questa novità di vita essi (i missionari) devono esprimerla nell’ambito della società e della cultura della propria patria, secondo le tradizioni nazionali. Devono conoscere questa cultura, elevarla e conservarla, sviluppandola in armonia con le nuove condizioni, e finalmente perfezionandola in Cristo affinché la fede di Cristo e la vita della Chiesa non siano più estranee alla società in cui vivono, ma comincino a permearla e a trasformarla”.

Il Papa Giovanni Paolo II nell’introduzione all’Enciclica Slavorum Apostoli (pubblicata il 2 giugno 1985) affermava: “Gli Apostoli degli Slavi, [i santi Cirillo e Metodio], rimangono nella memoria della Chiesa insieme alla grande opera di evangelizzazione che hanno realizzato. Si può anzi affermare che il loro ricordo si è fatto particolarmente vivo ed attuale ai nostri giorni. Considerando la venerazione piena di gratitudine, della quale i santi Fratelli di Salonicco (l’antica Tessalonica) godono da secoli, specialmente tra le Nazioni slave, e memore dell’inestimabile contributo da loro dato all’opera, dell’annuncio del Vangelo fra quelle genti e, al tempo stesso, alla causa della riconciliazione, dell’amichevole convivenza, dello sviluppo umano e del rispetto dell’intrinseca dignità di ogni Nazione, con la Lettera Apostolica Egregiae virtutis in data 31 dicembre 1980 proclamai i santi Cirillo e Metodio compatroni d’Europa”.

Al n. 14 della stessa Enciclica Slavorum Apostoli scriveva: “Pertanto non sembra per nulla anacronistico vedere nei Santi Cirillo e Metodio gli autentici precursori dell’ecumenismo, per aver voluto efficacemente eliminare o diminuire ogni divisione vera o anche solo apparente tra le singole comunità, appartenenti alla stessa chiesa”.

Al n. 21 Giovanni Paolo II ribadiva: “I fratelli di Salonicco erano eredi non solo della fede, ma anche della cultura della Grecia antica, continuata da Bisanzio. E si sa quale importanza questa eredità abbia per l’intera cultura europea e, direttamente o indirettamente, per quella universale. Nell’opera di evangelizzazione, che essi compirono – come pionieri in territorio abitato da popoli slavi –, è contenuto al tempo stesso un modello di ciò che oggi porta il nome di ‘inculturazione’ – l’incarnazione del Vangelo nelle culture autoctone – ed insieme l’introduzione di esse nella vita della chiesa”.

Al n. 27 della stessa enciclica si afferma: “Cirillo e Metodio, nella loro personalità e nella loro opera, sono figure che risvegliano in tutti i cristiani una grande “nostalgia per l’unione” e per l’unità tra le due Chiese sorelle dell’Oriente e dell’Occidente”.

A sua volta il Papa Benedetto XVI nell’udienza generale del 17 giugno 2009 affermava: “Cirillo e Metodio costituiscono un esempio classico di ciò che oggi si indica col termine ‘inculturazione’: ogni popolo deve calare nella propria cultura il messaggio rivelato ed esprimerne la verità salvifica con il linguaggio che gli è proprio. Questo suppone un lavoro di ‘traduzione’ molto impegnativo perché richiede l’individuazione di termini adeguati a riproporre, senza tradirla, la ricchezza della Parola rivelata. Di ciò i due Santi fratelli hanno lasciato una testimonianza quanto mai significativa, alla quale la Chiesa guarda anche oggi per trarne ispirazione e orientamento”.

Papa Francesco, in occasione della festa nazionale nella Repubblica Ceca dei Santi Cirillo e Metodio del 5 luglio e nel millecentocinquantesimo anniversario dell’arrivo dei due fratelli nella Grande Moravia, indirizzava un Messaggio al Card. Dominik Duka, Arcivescovo di Praga in data 24 giugno del 2013 in cui affermava: “La vasta opera di evangelizzazione, attuata con ardore da Cirillo e Metodio nel vostro territorio, costituisce un modello di inculturazione ancora valido nei suoi elementi essenziali. Il Vangelo, infatti, non indebolisce quanto di autentico si trova nelle diverse culture locali, ma aiuta gli uomini a riconoscere e a realizzare il bene, la verità e la bellezza... I fratelli Cirillo e Metodio hanno saputo tessere rapporti di conoscenza e di cordialità tra i popoli, diventando anelli di congiunzione tra diverse culture e tradizioni ecclesiali, poiché erano costantemente in unione con Dio”.

Il Cardinale Tomáš Špidlík, teologo gesuita ceco morto nel 2010 che fu molto amico del Papa Giovanni Paolo II e che venne tumulato nella Basilica di Velehrad dietro all’altare maggiore,  ebbe a dire: “L’eredità dei Santi Cirillo e Metodio non è un manto polveroso, ma il pane quotidiano e la strategia per il futuro dei popoli slavi”.

VIAGGIO PASTORALE NELLA REPUBBLICA FEDERATIVA CECA E SLOVACCA

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II

CON IL MONDO DELLA CULTURA

«Galleria Rodolfo» del Castello di Praga

(Repubblica Federativa Ceca e Slovacca)

Sabato, 21 aprile 1990

Vi saluto anche come slavo e figlio di una Nazione sorella, la cui storia e cultura hanno tanti legami importanti con la vostra storia e cultura. Anche la sala in cui c’incontriamo oggi, intitolata al re Ladislao Jagellone, attesta uno di questi legami. Ho molto desiderato visitare il Paese che, più di mille anni fa, fu la culla della missione di Cirillo e di Metodio, i quali vi portarono il Vangelo e, con esso, anche la lingua slava scritta, che divenne poi la base di tutte le lingue e culture slave. Il Papa polacco non dimentica che il cristianesimo è arrivato in Polonia proprio dalla Boemia, per “la via slava”.

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II

AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA CECA,

S.E.M. Vaclav HAVEL*

7 marzo 1994

La comune eredità dei Santi Cirillo e Metodio è sicuro punto di riferimento perché sia tenuta sempre alta la fiamma degli ideali, che soli valgono e che soli restano nella vita dell'umanità.

I due Fratelli di Tessalonica, questi impareggiabili missionari della fede cristiana, sono stati anche uomini di cultura, che hanno contribuito a dare una comune eredità linguistica ai popoli Slavi, e, di conseguenza, anche una innegabile identità di civilizzazione, raccogliendone gli elementi dalle precedenti tradizioni storiche, etniche e sociali. Anche per questo aspetto, essi sono così vicini all'anima Ceca, che trova in essi ben definita la sua inclinazione ai valori della cultura e della religione.

VIAGGIO APOSTOLICO NELLA REPUBBLICA CECA E IN POLONIA

GIOVANNI PAOLO II

REGINA COELI 

Olomouc (Repubblica Ceca) –

Domenica, 21 maggio 1995

I due nuovi canonizzati di questa mattina vengono ad aggiungersi ad un numero veramente straordinario di campioni della santità, che, fin dalle origini della diffusione del Vangelo di Cristo in queste regioni a opera dei fratelli di Tessalonica, Cirillo e Metodio, ne hanno costellato la storia religiosa e civile col fulgore delle loro virtù, esercitate in modo eroico.

E’ una stupenda litania di nomi di santi e di beati: i primi alunni dei due apostoli degli Slavi, Gorazd e compagni; e poi Ludmila, Václav, Vojtech col fratello Radim, Jindrich Zdík, settimo Vescovo di Olomouc, Anezka, Prokop, Hroznata, Jan Nepomuk, Zikmund e i martiri di Boemia, lo slesiano Melichar Grodziecki martirizzato a Kosice, fino ai moderni Jan Nepomuk Neumann, Klement Maria Hofbauer. Come non citare san Norberto, fondatore dei Premonstratensi, la cui tomba si trova nel convento di Strahov, a Praga? E i martiri Jan Ogilvie e il già ricordato Edmund Campion, che in Boemia si formarono alla suprema testimonianza del sangue, versato poi in Gran Bretagna? E infine san Carlo Spinola, italiano forse nato a Praga, dove divenne Gesuita, e morì poi martire in Giappone?

Regina del Cielo, rallegrati della presenza di tanti santi e beati in queste terre benedette.