Ratisbona e il 12/9 dell’occidente

papaaereoratisbonaNel settembre 2006 Benedetto XVI fece ritorno in Baviera, la terra dove è nato e cresciuto, dove è stato ordinato sacerdote e ha iniziato a insegnare. Il 12 settembre è atteso all’Università di Ratisbona, per tenere una lezione di fronte al mondo scientifico.

Una lezione dei cui esiti il Papa dice oggi di pentirsi (come ha spiegato ieri al Foglio Peter Seewald, “all’epoca non aveva ancora realizzato appieno che il discorso di un Papa viene inteso sempre e comunque anche come discorso politico”). Nel discorso di Ratisbona, Benedetto XVI rivendicò le radici ebraiche, greche e cristiane della propria fede, spiegando perché erano diverse dal monoteismo islamico. Odio e fanatismo, disse Ratzinger, sono “patologie” della religione e il jihad è “irragionevole” e “contrario” a Dio. La lectio papale conteneva una drammatica citazione dell’imperatore bizantino Manuele II Paleologo che annotava questo suo scambio con un persiano: “Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava”. Dinamite magistralmente addolcita dalla citazione di una sura coranica del tempo giovanile, annotava Ratzinger, “in cui Maometto stesso era ancora senza potere e minacciato”, e che recita: “Nessuna costrizione nelle cose di fede” (sura 2, 256). A Ratisbona Ratzinger mise in scena il dramma del nostro tempo, esploso letteralmente con l’11 settembre e quel quadruplice volo mortale sui cieli d’America. Il Papa discusse di islam senza ripetere banalità ireniste. Fece ciò che nel mondo islamico, pena la testa e la lingua, è vietato fare: discutere liberamente di fede.

La citazione di Manuele II Paleologo, estrapolata malignamente dal suo ampio e articolato contesto sulla “trascendenza assoluta” del Dio islamico così diversa dalla sintesi ebraica e cristiana e greca di “fede e ragione”, rimbalzò in tutto il mondo, scuotendo la umma musulmana, che reagì ferocemente. Anche sulla stampa internazionale fu un coro pressoché unanime di condanna per “l’aggressione del Papa all’islam”. Il New York Times definì “tragiche e pericolose” le parole del Papa. “C’è già abbastanza odio religioso nel mondo. Benedetto XVI ha insultato i musulmani”. Poche furono le mosche bianche in difesa del Papa (in Italia Il Foglio fu tra quelle). L’editorialista del Nouvel Observateur Jacques Julliard scrisse: “E’ così strano nel paese di Voltaire che occorra difendere il Papa e la chiesa cattolica contro il fanatismo”. André Glucksmann affermò con parole magistrali che “il nichilismo si sforza di rendere il male non visibile né dicibile né pensabile. Contro una simile devastazione mentale e mondiale, la lezione di Ratisbona richiama la fede biblica e gli interrogativi della filosofia greca a rinnovare senza concessioni una alleanza che mi auguro sia definitiva e vittoriosa”.

Chiarissimo sul Washington Post fu il premio Pulitzer Charles Krauthammer: “Il punto è l’intimidazione. Prima Salman Rushdie. Poi la falsa storia di Newsweek sul Corano a Guantanamo. Poi le vignette danesi. E ora una citazione da una disquisizione accademica su ragione e fede in Germania, in un’università tedesca e da un Papa”. Anche l’Economist si distinse, attaccando i paesi arabi “moderati” uniti al coro islamista: per il settimanale inglese, il Papa aveva rilanciato la doppia verità per cui “i cristiani nei paesi islamici non godono della stessa libertà religiosa che i musulmani hanno in occidente e troppi religiosi islamici sanciscono e tollerano la violenza in nome della religione”.

Il linciaggio politico, religioso, diplomatico e ideologico di Ratzinger assunse una forza e una estensione sensazionali. Feroce fu la campagna di criminalizzazione di Ratzinger. Nelle tante vignette sulla stampa occidentale e islamica, Benedetto XVI compare nelle sembianze di Dracula con il sangue in bocca e la scritta in rosso: “Decapitatelo”. E ancora: “Maiale servo della croce”, “Adora una scimmia inchiodata sulla croce”, “Odioso malvagio”, “Satana lapidato”, “Allah lo maledica”, “Vampiro che succhia sangue”. In una serie di vignette si vede San Pietro e issata la bandiera dell’islam con la scritta “Non vi è altro Dio al di fuori di Allah e Maometto è il suo profeta” e, al centro della basilica, l’insegna “Allah è grande”. Al Jazeera trasmise una vignetta animata, firmata dal disegnatore satirico Shujaat Ali, che si apre con una musichetta d’organo, campane in lontananza che accompagnano Giovanni Paolo II mentre libera delle colombe bianche da una scatola con la scritta “Armonia ecumenica”. Ma, appostato sulla piazza di San Pietro, Benedetto XVI imbraccia il fucile e abbatte a una a una le tre colombe, che simboleggiano le tre religioni monoteiste. Nella scena finale si vede Ratzinger soddisfatto, mentre Wojtyla, disperato sul trono, regge il bastone e si mette una mano nei capelli guardando le colombe ai propri piedi.

Il più alto rappresentante dell’islam di stato in Turchia, Ali Bardakoglu, capo del ministero degli Affari religiosi di Ankara, bollò il discorso di Ratzinger come “pieno di inimicizia e astio”, facendo sapere che il Pontefice non era più il benvenuto e ne chiese le scuse, in quanto pieno di “pregiudizio e ignoranza”. Il religioso pachistano Shahid Shamsi accusò il Vaticano di appoggiare i piani dell’“entità sionista” e del “Grande satana americano” contro il mondo arabo-musulmano.

“Chiedo a tutti i paesi del medio oriente di ritirare i propri ambasciatori presso la Santa Sede”, scandì Haken al Mutairi, leader del Partito islamico del Kuwait. Al Jazeera riportò una lista d’interventi dei lettori: “Dio possa maledire gli oppressori perché non hanno prove, e per questo usano metodi spicci”. “Si sapeva che questo Papa è schierato con il sionismo mondiale”. I Fratelli musulmani in Egitto annunciarono “reazioni peggiori di quelle alle vignette danesi”. Al Parlamento di Islamabad passò all’unanimità una risoluzione contro Benedetto XVI: “Quest’assemblea chiede al Papa di ritirare le sue affermazioni nell’interesse dell’armonia tra le religioni”, recitava l’editto assembleare. Salih Kapusuz, numero due del partito del premier turco Recep Tayyip Erdogan, affermò che Benedetto XVI “sarà ricordato dalla storia nella stessa categoria di Hitler e Mussolini”. Quel che ha detto il Papa indica “una chiara ignoranza”, proclamò Mohamed Sayed Tantawi, uno dei massimi esponenti dell’islam egiziano. Lo stesso Erdogan dichiarò: “Ritengo necessario che ritiri le malvagie dichiarazioni da lui fatte e che chieda scusa al mondo islamico e musulmano”. Anche il presidente della Malaysia chiese al Papa di scusarsi. E un deputato del Kuwait propose per ritorsione il blocco della costruzione di nuove chiese.

“Il Papa deve morire”, scandiva gelida una fatwa islamista in Inghilterra nei giorni immediatamente successivi a Ratisbona. La sicurezza attorno a Ratzinger venne subito massicciamente incrementata.

Nel mondo islamico si brucia e incendia. Davanti all’Università di al Azhar, al Cairo, furono alzati striscioni in cui si definivano le parole del Papa come “un’estensione della guerra di Bush contro l’islam”. Intanto gli ulema di al Azhar minacciavano di chiudere la commissione per il dialogo con il Vaticano. In India, manifestanti bruciarono i manichini del Pontefice e a Gaza saltò in aria un centro greco-ortodosso. In Cisgiordania gli islamisti ardono le chiese di Nablus. “Chiediamo che si scusi personalmente”, disse il leader sciita Mohammad Hussein Fadlallah, da Beirut. Dal Muftì di Damasco e dagli ayatollah di Teheran – anche l’ex presidente “moderato” Khatami definì “insolenti” le parole del pontefice – arrivarono altre reazioni dure, mentre l’Organizzazione della conferenza islamica proclamò che le parole del Papa erano una “character assassination” di Maometto.

Il più importante ideologo dei Fratelli musulmani, Yusuf al Qaradawi, fu netto: “Le vere scuse si avranno solo quando ritirerà quelle parole”. La guida della Rivoluzione in Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, sostenne che le parole del Pontefice sono “un anello della catena del complotto israelo-statunitense per alimentare lo scontro tra religioni” e accusò Benedetto XVI di fare parte “della cospirazione dei crociati”. Tutte le università coraniche iraniane, a partire da quella di Qom, abolirono le lezioni per protesta contro il Papa e nel sud sciita dell’Iraq, a Bassora, furono bruciate immagini di Ratzinger. In Kashmir uno sciopero contro il Pontefice infuocò diverse città. Al Qaida lanciò il suo proclama: “Servi della croce, aspettatevi la sconfitta, i musulmani conquisteranno Roma come hanno conquistato Costantinopoli”.

In Marocco vennero uccisi – secondo le fonti ufficiali in seguito a una rapina – un diplomatico italiano dell’Ue, Alessandro Missir di Lusignano, e la moglie. Il figlio maggiore e probabile erede di Gheddafi, Mohammed, disse di Ratzinger: “Se fosse realmente ragionevole non dovrebbe restare un minuto di più al suo posto, ma dovrebbe convertirsi all’islam”. Il sindacato dei dipendenti della presidenza degli Affari religiosi della Turchia pretese “l’arresto di Benedetto XVI quando verrà in Turchia a novembre”. Arrivarono anche i morti, pegni di quella lezione scandalosa. Suor Leonella in Somalia, da decenni nel paese a fare opera di missione e carità, venne uccisa con tre colpi alla nuca. In Iraq padre Amer Iskander, un prete siro-ortodosso di cinquant’anni rapito nella città di Mosul, viene ritrovato con la testa staccata dal corpo e le braccia mutilate, tronco umano, tronco di martirio, perché non ha rinnegato la fede e in nome dell’odio anticristiano dei fanatici che puntano a cacciare dall’Iraq chiunque non sia di fede islamica.

I rapitori di Iskander avevano chiesto che la comunità cristiana rinnegasse il Papa a Ratisbona. Volevano che fossero preparate trenta cartelle di scuse affinché venisse in qualche modo ritrattato il discorso di Benedetto XVI. Il testo doveva essere affisso sulle chiese di Mosul. Avevano dettato anche i punti fondamentali. Il capo di al Qaida in Iraq, Abu Hamza al Mujahir, invitò i fedeli musulmani durante il Ramadan “a catturare i cani cristiani”. Messo sotto pressione, il Papa fu costretto ad attutire i toni: “Sono vivamente rammaricato per le reazioni suscitate da un breve passo del mio discorso all’Università di Ratisbona, ritenuto offensivo per la sensibilità dei credenti musulmani”.

A Ratisbona Ratzinger aveva spiegato che il presupposto fondamentale di ogni dibattito interreligioso è che la religione sia temperata dalla ragione. Come spiega infatti Samir Khalil Samir, gesuita e islamologo, “la lezione magistrale di Ratisbona è stata vista da cristiani e musulmani come un passo falso del Papa, un suo banale errore, qualcosa da dimenticare e lasciarsi alle spalle, se non vogliamo fomentare una guerra fra religioni. In realtà questo Papa dal pensiero equilibrato e coraggioso, per nulla banale, a Ratisbona ha tracciato le basi di un vero dialogo fra cristiani e musulmani, diventando voce di molti musulmani riformisti e suggerendo all’islam e ai cristiani i passi da fare”.

George Weigel, uno dei più noti opinionisti cattolici americani e biografo di Giovanni Paolo II, sulla lezione di Ratisbona ha scritto un libro: “Faith, reason and the war against jihadism”. “Il mondo arabo è noto per l’irrazionalità, quindi la reazione alla lezione del Papa sulla ragione non era inaspettata”, dice Weigel al Foglio. “Ciò che è stata vergognosa è la reazione viscerale contro Ratzinger degli intellettuali occidentali, i quali non avevano neppure letto la lezione e si sono aggregati con la loro triste reputazione al campo degli appeasers”.

Weigel enuclea così il senso di Ratisbona: “Ciò che Benedetto XVI ha fatto è stato scrivere l’agenda del dialogo interreligioso fra cristiani e musulmani, attraverso le due grandi questioni di oggi: la libertà religiosa, ovvero un diritto umano fondamentale razionale e che include il diritto di convertirsi senza coercizione, e la necessità di distinguere l’autorità politica e religiosa in uno stato giusto. A Ratisbona il Papa ha identificato la fonte dell’ideologia jihadista, ovvero un’errata interpretazione del divino, e ha dato al mondo un vocabolario, quello della razionalità e della irrazionalità, che cristiani, musulmani, ebrei e non credenti, possono usare sulla minaccia jihadista posta al futuro dell’uomo”.

Dopo Ratisbona, il Vaticano sceglie però di riprendere le vie più tradizionali del confronto diplomatico con il mondo islamico. Piccoli ma significativi aggiustamenti si susseguono. Dalla nomina nel 2007 del cardinale Jean-Louis Tauran, con grande esperienza di mediazione, a capo del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso alla “lettera dei 138” saggi islamici a Ratzinger. Ma già pochi giorni dopo Ratisbona a Castelgandolfo avvenne un incontro scenografico con gli ambasciatori dei paesi a maggioranza musulmana. La Santa Sede pubblica sul proprio sito web in forma ufficiale la lectio integrale di Ratisbona. La citazione di Manuele II Paleologo viene presentata come pronunciata dall’imperatore non più “in un modo sorprendentemente brusco, al punto che ci stupisce”, ma “brusco al punto da essere per noi inaccettabile”. Un cambiamento non da poco.

L’“operazione scuse” – anche se il Papa non pronuncerà mai la parola “scusa” – messa in campo dalla diplomazia vaticana si chiuse a fine novembre 2006 con il viaggio di Ratzinger in Turchia. Erdogan umiliò di nuovo Benedetto XVI, dedicandogli appena una mezz’oretta di tempo nella saletta vip dell’aeroporto di Ankara. Da Teheran Ahmadinejad spedì al Papa il proprio “rispetto”, notando con soddisfazione che “ha modificato le proprie vedute”. Il 30 dicembre 2006 il segretario di stato Tarcisio Bertone archiviò Ratisbona in quanto “relitto archeologico”.

In Francia però si era appena aperto un nuovo capitolo della criminalizzazione ideologica. Uno degli intellettuali che aveva avuto l’ardire di prendere le difese del Papa sul quotidiano Le Figaro, Robert Redeker, a causa di una fatwa veniva costretto a vivere alla macchia, a cambiare domicilio, a nascondere la propria faccia, a perdere la cattedra. “Le reazioni suscitate dall’analisi di Benedetto XVI sull’islam e la violenza fanno parte dell’obiettivo che lo stesso islam si pone: spazzare via la cosa più preziosa che possiede l’occidente e che non esiste in alcun paese musulmano, ovvero la libertà di pensiero e di espressione”, aveva scritto Redeker. Il filosofo francese è tuttora un invisibile in patria.

In Iraq l’eccidio anticristiano, proclamato con la testa di padre Iskander e le cartelle di scuse su Ratisbona, si protrae ancora oggi. In Turchia, dopo don Andrea Santoro, è stato martirizzato monsignor Luigi Padovese. A Malatya stampatori di Bibbie sono stati incaprettati e giustiziati. Se l’11 settembre 2001 ha rappresentato l’avvio del jihad, con l’attentato al cuore dell’America, il 12 settembre 2006 sarà ricordato come il livello più alto di un’insidiosa sottomissione verbale e culturale dei valori e degli ideali dell’occidente e di coloro che li proclamano, siano essi scrittori, vignettisti o pontefici. A quattro anni da Ratisbona, una pioggia acida continua a cadere sulle nostre teste.

di Giulio Meotti © - FOGLIO QUOTIDIANO