La parola di Maggio

parola-mese Carissimi,  

Nei giorni scorsi tutti siamo stati colpiti dalla morte di Papa Francesco. Una figura che era a tutti noi familiare perché grazie ai nuovi mezzi di comunicazione riusciva a “bucare lo schermo”. Gran parte di questo numero dell’Informatore Parrocchiale è dedicato alla sua straordinaria figura umana e di pastore Vescovo di Roma. Tra qualche giorno 133 cardinali si riuniranno in Conclave nella Cappella Sistina e, guidati dallo Spirito Santo, doneranno alla Chiesa un nuovo Papa che avrà il compito di portare avanti l’eredità di Papa Francesco.

Ora, qui voglio lasciare alcune riflessioni. L’insegnamento di Papa Francesco è stato caratterizzato dal tema dell’amore misericordioso di un Dio che è Padre e che per questo è più grande dei nostri limiti e dei nostri calcoli e vuole tutti rialzarci dalle nostre debolezze e povertà per renderci persone nuove diventando anche noi misericordiosi gli uni verso gli altri. Il tema della misericordia ci riporta al cuore della fede: la buona notizia del Vangelo è la scoperta di essere amati da un Dio che ha “viscere di misericordia”, di compassione, di tenerezza per ciascuno. Dopo le nostre cadute possiamo sempre rialzarci e guardare al futuro con speranza perché Dio ci ama senza limiti ed è pronto al perdono. Il motto scelto da Papa Francesco, infatti, era "Miserando atque eligendo", che in italiano significa "guardando con misericordia e scegliendo". Questa frase latina è tratta da un commento di San Beda il Venerabile sulla chiamata dell’apostolo ed evangelista San Matteo. Il motto riflette bene la sua visione della misericordia di Dio e della sua chiamata al servizio della Chiesa. Siano strumenti della misericordia per l’umanità per coloro che desiderano accogliere l’amore e il perdono di Dio.

Papa Francesco è stato testimone luminoso di una Chiesa che si china con tenerezza verso chi è ferito e guarisce con il balsamo della misericordia, per questo parlava di una “Chiesa da campo”; e ci ha ricordato che non può esserci pace senza il riconoscimento dell’altro, senza l’attenzione a chi è più debole e, soprattutto, non può esserci mai la pace se non impariamo a perdonarci reciprocamente, usando tra di noi la stessa misericordia che Dio ha verso la nostra vita.

Quando Francesco interveniva in prima persona nel dibattito della politica internazionale lo ha sempre fatto con forza e con modalità innovative che hanno generato, a volte, un senso di stupore. Per qualcuno anche un vero sconcerto. Papa Bergoglio è stato essenzialmente un leader spirituale cristiano che ha cercato di portare la lieta notizia del Vangelo di Gesù al centro della Chiesa e della società anche civile.

Il suo pontificato è stato «profetico» perché ha riportato il nostro tempo nel suo giusto rapporto a Dio, gli ha dato un significato nella relazione con il trascendente. Anche la rilevanza politica del suo pontificato è indiscutibile ma troppo spesso incompresa nella profonda connessione tra politica e spiritualità, appiattita in una prospettiva tutta terrena, «mondana».

Papa Francesco, da credente, sapeva che il mondo è il cantiere di Dio e il suo compito, da pontefice, è stato quello di accompagnare i processi storici più che di occupare spazi di potere. In questo senso ha saputo attraversare tempi di crisi. Da qui il suo messaggio: in tempi di crisi occorre essere realisti e «una lettura della realtà senza speranza non si può chiamare realistica. La speranza dà alle nostre analisi ciò che tante volte i nostri sguardi miopi sono incapaci di percepire». Da qui la maturazione dell’idea del Giubileo 2025 che stiamo vivendo definito della Speranza.

Papa Francesco si è assunto anche la responsabilità di posizioni rischiose. La tradizionale cautela diplomatica si è sposata in lui con l’esercizio di una parola detta con coraggio (anche gli apostoli parlavano con “parresia” dice la Bibbia), fatta di chiarezza e talvolta di denuncia. Le prese di posizione contro il capitalismo finanziario speculativo, il costante riferimento alla tragedia dei migranti, «vero nodo politico globale», la memoria del «genocidio» armeno. Gli echi persistenti che hanno generato sono quelli che provengono da una «voce che grida nel deserto», per citare Isaia, il profeta biblico. Ma il Papa della misericordia non ha esitato a gridare «maledetti», durante una messa a Santa Marta, a coloro che fomentano le guerre e lucrano sul commercio delle armi. Né ha esitato a definire «ignobile» la situazione a Gaza, né a evocare il martirio parlando della nazione ucraina aggredita. In questo modo Papa Francesco si è confrontato con il nuovo ruolo globale del cattolicesimo nel contesto odierno.

A voi, a noi tutti, al mondo intero, Papa Francesco rivolga il suo abbraccio dal Cielo. In questo mese di maggio, ci affidiamo alla Beata Vergine Maria, a cui Lui era così devotamente legato tanto da scegliere di riposare nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Lei ci protegga.

 

  •                                                                                                                          don Gianluigi