Uno stile pastorale
INCONTRO DEI CONSIGLI PASTORALI DECANALI DI CITTA'STUDI CON MONS. CARLO FACCENDINI
Carissimi,
all'inizio del mio ministero nella Città di Milano, vorrei incontrare quanti condividono con responsabilità e fedeltà un servizio pastorale all'interno delle Parrocchie e del Decanato di Città Studi.
Il desiderio è di riflettere insieme e di confrontarci su quello che potremmo chiamare uno "stile pastorale' un modo di servire oggi la Chiesa di Milano, con le sue fatiche, le sue urgenze e quindi anche le scelte necessarie.
Mi piacerebbe che questo stile fosse condiviso, appunto, e caratterizzasse progressivamente tutte le comunità cristiane della città a tal punto da diventare un segno.
Sarà per me anche una significativa opportunità per incominciare a conoscervi e a farmi conoscere.
Con queste parole mons, Carlo Faccendini -Vicario arcivescovile per la Zona episcopale I e la città di Milano- ha invitato, sabato 23 febbraio scorso, i membri dei vari Consigli Parrocchiali, del Consiglio Decanale e degli operatori pastorali di Città Studi per un momento di preghiera, conoscenza e sintonia pastorale, che si situa nell'ambito di una iniziativa del nostro Vescovo per il prossimo anno pastorale, a metà fra visita pastorale e missione cittadina e con l'obiettivo di risvegliare la città percorrendola per conoscerla a fondo (Frammenti per il disegno di una speciale attenzione pastorale alla città).
Abbiamo dunque iniziato con un momento di preghiera tratto da Atti 10, 1-9; 17-20:
'Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 2Diceva loro: "La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai!... 171 settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: "Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome"... 20Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli".
Un brano che narra la grande corsa del Vangelo da Nazareth a Gerusalemme, teatro della Pasqua di Gesù, ma poi da Gerusalemme a Roma: centro del mondo di allora. E, se nel primo movimento l'attore è il Signore Gesù, nel secondo gli attori sono invece i discepoli: in altre parole, noi, ora...
É dunque importante capire come continuare e quale stile seguire perché questa corsa non si fermi...
Innanzitutto è Gesù che 'designa' e 'invia' e strettissimo dev'essere il legame con la sua persona. Occorre condividere il suo sogno e tenerlo vivo nel tempo e nello spazio, non certo a titolo personale, ma per un servizio: anche noi siamo 'designati e inviati' per un servizio ecclesiale i cui riferimenti sono ora il Vangelo, il vescovo, il parroco.
Ecclesiali devono essere pure gli obiettivi pastorali. Esiste una disciplina pastorale che chiede servizio e comunione, altrimenti il rischio realissimo è che il nostro operato abbia come obiettivo noi stessi, o un gruppo di amici come prolungamento del nostro 'io'. Può accadere allora che la stessa parrocchia sia percepita come mia o del clan dei miei amici speciali, con i quali mi sento meglio in sintonia o con cui ho una particolare affinità d'interessi, magari anche economici, tanto che la logica può diventare quella del patronato e del potere.
Noi, invece, siamo discepoli e inviati per ben altro obiettivo: come discepoli e non militanti innanzitutto. Il nostro mandato è quello di introdurre la gente a Gesù, il che ci interpella sulla qualità della nostra proposta evangelica perché il Vangelo ormai non si può più dare per scontato: è un po' come l'amore nella coppia, rileva don Carlo... Basterà dunque dire che la fede c'è se facciamo le opere della fede? E qui cita le riflessioni del card. Scola sui pilastri della fede.
-Educarci al pensiero di Cristo, cioè abituarsi a pensare a lui, e a tutte le cose attraverso di lui -operare nelle nostre comunità con una comunione solidale e non come una federazione di attività diverse
-praticare singolarmente e in modo comunitario la preghiera come un dono
-esser consapevoli di dover rendere una testimonianza missionaria.
Don Carlo conosce le difficoltà delle nostre comunità ecclesiali: il suo modo di esprimersi, semplice e sereno, capace di andare al cuore dei problemi, parla di un'autentica dimensione di fede, ma anche di una esperienza e conoscenza diretta dei nodi pastorali attuali: nelle scuole, nelle parrocchie, nella Diocesi. Faccendini cita le parole di Martini nella visita pastorale del 2000 al centro storico di Milano: guardare in alto senza farsi appiattire dalle minuzie della quotidianità. Come però, se non con un cammino mai terminato di conversione? E se non ho fede io, come convincere qualcun altro a credere? La chiesa che non si evangelizza lei stessa mai potrà essere evangelizzatrice (Paolo VI, Evangelii Nuntiandi).
Nel testo di Atti è poi previsto uno scarto: La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai. Il che vale anche per noi: pochi e forse inadatti perché il contesto in cui operiamo è duro e la gente spesso distante e distratta. Il rischio è quello della frustrazione, della rinuncia, se non della fuga. E qui don Carlo pesca dalla sua esperienza personale: quante volte troviamo questa amarezza nei genitori, gli insegnanti, i catechisti, gli stessi presbiteri... E, in genere -nota- chi pensa di lasciare sono i migliori, quelli che hanno cercato di impegnarsi con la massima serietà e si sono sentiti soli, senza un sostegno valido... Don Carlo lo sottolinea con forza, ma con affetto: non è un giudizio, sono problemi reali.., però sono anche una vera tentazione. Come difenderci? Innanzitutto, custodendo lo stile di Gesù, fatto di servizio e fedeltà. Poco servono le strategie: è la certezza del Vangelo l'aiuto speciale da offrire per ridare senso e speranza alle persone che incontriamo. Potare la buona notizia di Gesù è un atto di amore, è il vero volto della carità: ti voglio bene e per questo ti faccio conoscere Gesù.
Siamo pochi? Ricordiamo però la moltiplicazione dei pani e mettiamo insieme il poco che abbiamo, poi il miracolo sarà compito del Signore!
Infine ma non ultimo, lo stile dei discepoli, perché il modo è importante quanto l'annuncio. - l'annuncio -pacifico!- deve avvenire dentro la cura delle relazioni
- avvicinarsi alle persone con disponibilità e rispetto: solo così la parrocchia può diventare la casa di tutti: no alla troppa burocrazia, no alle distanze fra di noi, no ai troppi impegni che 'sotterrano' la gente
- custodire uno sguardo misericordioso ricordando che Gesù guardava le persone negli occhi, senza ingenuità però con bontà profonda
- ricordarci che per seminare pastoralmente occorre avere tempo e pazienza e coltivare uno stile grazioso -cioè pieno di Grazia- dell'annuncio, rinunciando alla imposizione per accompagnare la gente
- non giudicare mai la fede degli altri: nella chiesa ci sono dei testimoni della fede che sono i martiri, e dei mattoni per costruirle, che possiamo essere noi.
Allora: Rallegratevi.., perché i vostri nomi sono scritti nei cieli. Don Carlo ha chiuso così: guardiamo con un atteggiamento positivo alle nostre comunità imparando a riconoscere i segni buoni, anche se piccoli, che ci circondano, e ricordiamo che spesso siamo noi stessi provvidenza per gli altri in un servizio di gratuità che ha però questa straordinaria ricompensa.
A cura di Claudia Di Filippo Bareggi