Donne della fede
Gesù e le donne nel Vangelo di Giovanni
L’eredità biblica riguardo alla donna, così come giunge a Gesù di Nazaret nell’ambiente culturale dell’Israele del suo tempo, può esprimersi in tre componenti: la bontà degli inizi; la relazione ferita e il protagonismo straordinario di singole figure femminili.
La bontà degli inizi è testimoniata soprattutto nel capitolo 2 della Genesi, in cui la metafora della costola di Adamo da cui è tratta Eva - la “vita” - mostra l’assoluta parità di dignità e la reciprocità nella relazione interpersonale fra la donna e l’uomo (i commentatori ebrei sottolineano la bella unità suggerita dal gioco di parole ish = uomo, ishah = donna, osservando come la differenza fra i due termini libera le lettere del Nome divino). La necessità di questa relazione è vitale (Gn 2,18). “Senza la donna la creazione fallirebbe, inabissandosi nel faccia a faccia narcisistico, quindi mortale, dell’Adamo con se stesso”1. Genesi 3 mostra come col peccato questa relazione venga ferita e la bontà degli inizi sia perduta: alla donna, più che la responsabilità della colpa su cui insisteranno le letture maschiliste, viene attribuito il legame della vita, che rende solidale l’umanità intera nell’esperienza della caduta, complice ciascuno - uomo o donna che sia - del male. La relazione originaria di comunione cede il posto a quella di dominio da parte del maschio (cf. Gn 3,16), che è però riconosciuta come una forma degradata del rapporto, rispetto a cui si attende la liberazione (cf. la fine di Gn 3). A questo racconto si farà ricorso per giustificare le diverse emarginazioni della donna, considerata in una condizione normalmente inferiore rispetto all’uomo (così, se ci sono cento donne in sinagoga e solo nove uomini, non si ha minyan, il numero di oranti necessario per la preghiera rituale, che è di dieci maschi adulti). Nonostante questo, spiccano nella storia d’Israele figure femminili eccezionali, il cui protagonismo è esaltato e rispettato (dalle Matriarche, che affiancano i Patriarchi, a eroine come Debora, Giuditta ed Ester, a donne esemplarmente fedeli, come Rut): “Il miracolo è proprio che in questa società dalle strutture patriarcali, i grandi perni della storia si rivelano, malgrado tutto, le donne”2. E ci sono pagine - come quelle del Cantico dei Cantici - dove il mondo di Gn 2 sembra risorgere... Gesù ristabilisce con la donna la relazione originaria, e ancor più ne valorizza il ruolo nella nuova creazione operata dal Suo avvento nella storia. Egli si dimostra totalmente libero dai tabù che gravano sulle donne che incontra nel suo ministero: si lascia toccare dall’emorroissa (cf. Mt 9,20ss); accetta l’omaggio della peccatrice (Lc 7,26-50); domanda dell’acqua a una straniera da non frequentare, una Samaritana (Gv 4). Da Maria nell’annunciazione alle donne dei racconti pasquali i Vangeli testimoniano un susseguirsi di figure femminili: c’è perfino un gruppo di donne itineranti che seguono Gesù (Lc 8,2s; Mt 27,55s e Mc 15,40s). “Tutte queste donne del Vangelo compongono una figura ben più complessa della condizione femminile di quanto ci si potesse attendere. Non ci si può attenere ad un’immagine di donna confinata allo spazio domestico e che sarebbe tenuta a distanza dai grandi avvenimenti giocati in quei giorni ... L’audacia e l’iniziativa caratterizzano molte di loro ... Parecchie sono modelli d’intelligenza spirituale che superano di molto gli uomini della cerchia di Gesù”3. Un punto è chiaro: “Nei Vangeli la divisione non passa fra i sessi, ma fra i poveri che affidano la loro desolazione o la loro indigenza a Cristo e coloro che, dicendosi giusti o credendosi giustificati, sono indifferenti o ostili alla salvezza che Egli porta”4. Inoltre, appare in questi testi una “superiore facilità delle donne a comprendere quanto Gesù dice e a riconoscere il dono che Egli porta”5. Forse perché, escluse da ogni potere in base alle regole sociali del tempo, esse sono più libere dall’orgoglio spirituale, che acceca, e più disponibili al servizio e all’accoglienza. Come le donne dei Vangeli hanno incontrato Gesù aprendosi alla fede in Lui? Qual è stato il loro cammino verso l’accoglienza del Suo mistero? Che cosa questo incontro ha comportato per la loro vita? Le risposte variano naturalmente in rapporto ai diversi personaggi femminili di cui parlano gli Evangelisti: e la ricchezza di esperienze e di modelli è in realtà superiore a ogni ottimistica aspettativa. Ecco perché occorre fare delle scelte: il Vangelo di Giovanni - con la sua peculiare attitudine al simbolo - offre già da solo molto materiale. Ci fermiamo su quattro episodi, indicativi di quattro forme fondamentali dell’incontro col Signore vissuto dalle donne, che parla però a tutti e stimola ciascuno a trovare la sua via verso di Lui. Nell’incontro con la Samaritana al Pozzo di Giacobbe è la fede come cammino di libertà che si rivela; in quello con l’adultera è la forza della verità che trionfa attraverso un cuore umile; nella resurrezione di Lazzaro è la fede audace di Marta, nutrita di amicizia, che emerge; nella visita delle donne al sepolcro il giorno di Pasqua è il dinamismo dell’amore che si lascia riconoscere.
Gv 4,1-42: La Samaritana, un incontro che rende liberi. “Giunse Gesù ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c'era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua” (vv. 5-7). La Samaritana è una persona che si nasconde: dagli altri, tanto è vero che va al pozzo nell’ora in cui nessuno ci sarebbe stato, l’ora più calda del giorno (“Era verso mezzogiorno”), per non essere vista e fatta oggetto di giudizi; da se stessa, perché cerca di trasferire il discorso su questioni grandi, oggettive, in modo da non essere lei al centro (“Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare”); dalla sua storia, perché dice una mezza verità sul suo passato: “Non ho marito”. Gesù la libera progressivamente e con delicatezza dalle sue maschere: prendendo l’iniziativa dell’incontro, rompe tutti i pregiudizi razziali, sociali, relativi alla differenza sessuale (in quanto donna, samaritana -appartenente a un gruppo disprezzato, che era stato occupato da genti idolatriche provenienti da cinque regioni diverse secondo 2 Re 17,24-41, la donna coi suoi cinque mariti è simbolo del popolo intero - ed in quanto ripetutamente adultera quella donna andava tenuta a distanza secondo la logica del tempo). Mostrando la rilevanza soggettiva dei discorsi oggettivi, come quello sull’acqua viva, Gesù la porta a coinvolgersi in prima persona: “ ‘Chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna’. ‘Signore, gli disse la donna, dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua’ ” (vv.14s). Dicendole, infine, la verità sul suo passato, la restituisce alla integralità del suo cammino, investito dalla luce della misericordia divina: “Hai detto bene ‘non ho marito’; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero” (vv. 17s). La donna si lascia liberare progressivamente: non è prigioniera dell’orgoglio spirituale, percepisce l’amore che sana e perdona. “Signore, vedo che tu sei un profeta”. Così, viene liberata nell’incontro con Gesù e la confessione di fede cui giunge la trasmette agli altri con audacia, senza più paura: “La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: ‘Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?’. Uscirono allora dalla città e andavano da lui... Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna” (vv. 28-30. 39). Avrebbe avuto un dottore della legge la stessa docilità, lo stesso amore umile per perdere e così ritrovarsi a un nuovo, più alto livello? È veramente femminile questa capacità di accogliere in profondità, di lasciarsi inondare dalla luce che si offre attraverso parole e gesti di verità e di misericordia...
Gv 8,1-11: L’Adultera, la forza della verità. “Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava. Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: ‘Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?’. Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo” (vv. 1-6). Agli occhi degli uomini gli imputati sono due, l’adultera e Gesù, che mette in discussione la prassi di lapidarla. “Ecce duo sunt: misera et misericordia”, dirà Sant’Agostino. Gesù riporta tutto alla verità del porsi sotto lo sguardo di Dio: se per Deuteronomio 17,7 dovevano essere i testimoni a scagliare la prima pietra, Gesù chiama ognuno a mettersi sotto la luce di quello sguardo: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei… Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi” (vv. 7. 9). È decisivo il movimento dello sguardo di Lui: prima rivolto alla terra (“Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra… E chinatosi di nuovo, scriveva per terra”: vv. 7-8), poi evidentemente alla donna, che resta sola davanti a Lui, avvolta per la primavolta da uno sguardo che non è né di cupidigia, né di giudizio, ma di verità e di misericordia: “Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: ‘Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?’. Ed essa rispose: ‘Nessuno, Signore’. E Gesù le disse: ‘Neanch'io ti condanno; và e d'ora in poi non peccare più’ ” (vv. 9-11). Gesù non costringe la persona nel suo passato, ma la spiega e la libera a partire dal suo futuro. Sei quello che diventerai... La donna può iniziare una vita nuova perché si è lasciata liberare dallo sguardo della Verità: ci insegna che la grandezza di uno spirito si misura dal grado di verità che è capace di sopportare. E mediamente sembra che le donne del Vangelo siano capaci più degli uomini di sopportare lo sguardo liberante della Verità...
Gv 11,1-44: Marta, l’amicizia e l’audacia della fede. Il rapporto di Gesù con Marta come con sua sorella Maria e il fratello Lazzaro è di profonda amicizia: libera e irruente, Marta non esita a rimproverare Gesù, quasi a insegnargli... il mestiere di Messia (lo fa nella bellissima scena di Lc 10,38-42, dove il senso vero non è la preferenza della vita contemplativa sull’attiva, ma la necessità che un rapporto vero sia costruito non sull’interesse pur nobilissimo del fare, ma sull’accoglienza e l’ascolto interpersonale; e lo fa qui, quasi a rimproverarlo di poca tempestività... messianica). “Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: ‘Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà’. Gesù le disse: Tuo fratello risusciterà’ ” (vv. 20-23). Tuttavia, è proprio questa totale assenza di forme esteriori, questo andare subito all’essenziale che la conduce a fare una delle professioni di fede più alte di tutto il Vangelo: “Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo” (v. 27). È l’amore che vede l’invisibile, non un sapere arido o peggio ancora un formalismo legale. E Gesù accetta di essere così profondamente coinvolto in questo registro dell’amore, che non ferma le lacrime e libera il pudore dei sentimenti veri e profondi: “Gesù quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò e disse: ‘Dove l'avete posto?’. Gli dissero: ‘Signore, vieni a vedere!’. Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: ‘Vedi come lo amava!’ ” (vv. 33-36). È una donna, con la sua amicizia vera, col suo amore senza fronzoli e senza possessività, che induce Gesù a compiere il grande segno di restituire la vita a un amico morto: “Lazzaro, vieni fuori!”. È l’amore audace che libera l’impossibile possibilità di Dio. E questo nei Vangeli è operato da una donna (qui Marta, a Cana Maria, la donna: cf. Gv 2).
Gv 20, 1-18: Maria Maddalena, il dinamismo dell’amore. Maria rappresenta il dinamismo dell’amore: l’amore che cerca, l’amore che trova, l’amore che dona. Umanamente andare al sepolcro a prim’ora, da sola, era un gesto di puro amore, al di là di ogni logica: l’amor “che a null’amato amar perdona” (Dante). “Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio”. Per Maria Gesù, l’Amato del suo cuore, non può essere morto, anche se è morto. È questa logica dell’impossibile che la spinge a cercarlo: ed è significativo che sia una donna a viverla, quasi gli uomini fossero resi ciechi dalle evidenze per vedere al di là dell’ovvio e del visibile. In Gesù, con intuizione singolare, Maria riconosce inizialmente il custode del giardino, il giardiniere del giardino della nuova creazione, così come il Dio creatore lo era stato dell’opera dei sei giorni: ella “si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: ‘Donna, perché piangi? Chi cerchi?’. Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: ‘Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo’ ” (vv. 14s). È in una donna che si compie la sintesi più audace di tutta la storia della salvezza, l’incontro di inizio e compimento. “Gesù le disse: ‘Maria!’. Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: ‘Rabbunì!’, che significa: Maestro! Gesù le disse: ‘Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma và dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro’” (vv. 16s), Quando Maria è chiamata per nome, allora il suo amore vede e la confessione diventa: “Maestro mio”. Quel possessivo dice come la Verità debba essere sempre appropriata alla persona, non sia qualcosa, ma Qualcuno. Il dinamismo dell’amore non si ferma però qui: Non mi trattenere, vuol dire che l’amore non è, non deve essere possessività gelosa. Maria andrà a dare agli altri quanto ha gratuitamente ricevuto: è l’apostola del Risorto. “Maria di Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli: ‘Ho visto il Signore’ e anche ciò che le aveva detto’” (v. 18). E il fatto che siano le donne le prime testimoni della resurrezione - dato lo scarso valore che nel contesto del tempo aveva la loro testimonianza - è la prova più chiara della storicità di quell’incontro, che - se fosse stato inventato - nessuno avrebbe attribuito ad una donna. Le donne sono all’inizio della nostra fede: e arrivano prima, perché amano con un amore che prevede, anticipa e fa sintesi, più di tanti discorsi di dotti e di sapienti...
+ Bruno Forte
Padre Arcivescovo
1. Anne-Marie Pelletier, Il Cristianesimo e le donne, Jaca Book, Milano 2000, 18.
2. Ib., 21.
3. Ib., 27.
4. Ib., 29.2
5. Ib.