Sinodo sulla famiglia 2014

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

PER LA CONCLUSIONE DELLA III ASSEMBLEA GENERALE STRAORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI

Aula del Sinodo - Sabato, 18 ottobre 2014

 

Eminenze, Beatitudini, Eccellenze, fratelli e sorelle,

Con un cuore pieno di riconoscenza e di gratitudine vorrei ringraziare, assieme a voi, il Signore che ci ha accompagnato e ci ha guidato nei giorni passati, con la luce dello Spirito Santo!

Ringrazio di cuore il signor cardinale Lorenzo Baldisseri, Segretario Generale del Sinodo, S.E. Mons. Fabio Fabene, Sotto-segretario, e con loro ringrazio il Relatore il cardinale Péter Erdő, che ha lavorato tanto anche nei giorni del lutto familiare, e il Segretario Speciale S.E. Mons. Bruno Forte, i tre Presidenti delegati, gli scrittori, i consultori, i traduttori e gli anonimi, tutti coloro che hanno lavorato con vera fedeltà dietro le quinte e totale dedizione alla Chiesa e senza sosta: grazie tante!

Ringrazio ugualmente tutti voi, cari Padri Sinodali, Delegati Fraterni, Uditori, Uditrici e Assessori per la vostra partecipazione attiva e fruttuosa. Vi porterò nella preghiera, chiedendo al Signore di ricompensarvi con l'abbondanza dei Suoi doni di grazia!

Potrei dire serenamente che - con uno spirito di collegialità e di sinodalità - abbiamo vissuto davvero un'esperienza di "Sinodo", un percorso solidale, un "cammino insieme".

Ed essendo stato "un cammino" - e come ogni cammino ci sono stati dei momenti di corsa veloce, quasi a voler vincere il tempo e raggiungere al più presto la mèta; altri momenti di affaticamento, quasi a voler dire basta; altri momenti di entusiasmo e di ardore. Ci sono stati momenti di profonda consolazione ascoltando la testimonianza dei pastori veri (cf. Gv 10 e Cann. 375, 386, 387) che portano nel cuore saggiamente le gioie e le lacrime dei loro fedeli. Momenti di consolazione e grazia e di conforto ascoltando e testimonianze delle famiglie che hanno partecipato al Sinodo e hanno condiviso con noi la bellezza e la gioia della loro vita matrimoniale. Un cammino dove il più forte si è sentito in dovere di aiutare il meno forte, dove il più esperto si è prestato a servire gli altri, anche attraverso i confronti. E poiché essendo un cammino di uomini, con le consolazioni ci sono stati anche altri momenti di desolazione, di tensione e di tentazioni, delle quali si potrebbe menzionare qualche possibilità:

- una: la tentazione dell' irrigidimento ostile, cioè il voler chiudersi dentro lo scritto (la lettera) e non lasciarsi sorprendere da Dio, dal Dio delle sorprese (lo spirito); dentro la legge, dentro la certezza di ciò che conosciamo e non di ciò che dobbiamo ancora imparare e raggiungere. Dal tempo di Gesù, è la tentazione degli zelanti, degli scrupolosi, dei premurosi e dei cosiddetti - oggi - "tradizionalisti" e anche degli intellettualisti.

- La tentazione del buonismo distruttivo, che a nome di una misericordia ingannatrice fascia le ferite senza prima curarle e medicarle; che tratta i sintomi e non le cause e le radici. È la tentazione dei "buonisti", dei timorosi e anche dei cosiddetti "progressisti e liberalisti".

- La tentazione di trasformare la pietra in pane per rompere un digiuno lungo, pesante e dolente (cf. Lc 4,1-4) e anche di trasformare il pane in pietra e scagliarla contro i peccatori, i deboli e i malati (cf.Gv 8,7) cioè di trasformarlo in "fardelli insopportabili" (Lc 10, 27).

- La tentazione di scendere dalla croce, per accontentare la gente, e non rimanerci, per compiere la volontà del Padre; di piegarsi allo spirito mondano invece di purificarlo e piegarlo allo Spirito di Dio.

- La tentazione di trascurare il "depositum fidei", considerandosi non custodi ma proprietari e padroni o, dall'altra parte, la tentazione di trascurare la realtà utilizzando una lingua minuziosa e un linguaggio di levigatura per dire tante cose e non dire niente! Li chiamavano "bizantinismi", credo, queste cose...

Cari fratelli e sorelle, le tentazioni non ci devono né spaventare né sconcertare e nemmeno scoraggiare, perché nessun discepolo è più grande del suo maestro; quindi se Gesù è stato tentato - e addirittura chiamato Beelzebul (cf. Mt 12, 24) - i suoi discepoli non devono attendersi un trattamento migliore.

Personalmente mi sarei molto preoccupato e rattristato se non ci fossero state queste tentazioni e queste animate discussioni; questo movimento degli spiriti, come lo chiamava Sant'Ignazio (EE, 6) se tutti fossero stati d'accordo o taciturni in una falsa e quietista pace. Invece ho visto e ho ascoltato - con gioia e riconoscenza - discorsi e interventi pieni di fede, di zelo pastorale e dottrinale, di saggezza, di franchezza, di coraggio e di parresia. E ho sentito che è stato messo davanti ai propri occhi il bene della Chiesa, delle famiglie e la "suprema lex", la "salus animarum" (cf. Can. 1752). E questo sempre - lo abbiamo detto qui, in Aula - senza mettere mai in discussione le verità fondamentali del Sacramento del Matrimonio: l'indissolubilità, l'unità, la fedeltà e la procreatività, ossia l'apertura alla vita (cf. Cann. 1055, 1056 e Gaudium et Spes, 48).

E questa è la Chiesa, la vigna del Signore, la Madre fertile e la Maestra premurosa, che non ha paura di rimboccarsi le maniche per versare l’olio e il vino sulle ferite degli uomini (cf. Lc 10, 25-37); che non guarda l’umanità da un castello di vetro per giudicare o classificare le persone. Questa è la Chiesa Una, Santa, Cattolica, Apostolica e composta da peccatori, bisognosi della Sua misericordia. Questa è la Chiesa, la vera sposa di Cristo, che cerca di essere fedele al suo Sposo e alla sua dottrina. È la Chiesa che non ha paura di mangiare e di bere con le prostitute e i pubblicani (cf. Lc 15). La Chiesa che ha le porte spalancate per ricevere i bisognosi, i pentiti e non solo i giusti o coloro che credono di essere perfetti! La Chiesa che non si vergogna del fratello caduto e non fa finta di non vederlo, anzi si sente coinvolta e quasi obbligata a rialzarlo e a incoraggiarlo a riprendere il cammino e lo accompagna verso l'incontro definitivo, con il suo Sposo, nella Gerusalemme Celeste.

Questa è la Chiesa, la nostra madre! E quando la Chiesa, nella varietà dei suoi carismi, si esprime in comunione, non può sbagliare: è la bellezza e la forza del sensus fidei, di quel senso soprannaturale della fede, che viene donato dallo Spirito Santo affinché, insieme, possiamo tutti entrare nel cuore del Vangelo e imparare a seguire Gesù nella nostra vita, e questo non deve essere visto come motivo di confusione e di disagio.

Tanti commentatori, o gente che parla, hanno immaginato di vedere una Chiesa in litigio dove una parte è contro l'altra, dubitando perfino dello Spirito Santo, il vero promotore e garante dell'unità e dell'armonia nella Chiesa. Lo Spirito Santo che lungo la storia ha sempre condotto la barca, attraverso i suoi Ministri, anche quando il mare era contrario e mosso e i ministri infedeli e peccatori.

E, come ho osato di dirvi all'inizio, era necessario vivere tutto questo con tranquillità, con pace interiore anche perché il Sinodo si svolge cum Petro et sub Petro, e la presenza del Papa è garanzia per tutti.

Parliamo un po’ del Papa, adesso, in rapporto con i vescovi... Dunque, il compito del Papa è quello di garantire l’unità della Chiesa; è quello di ricordare ai pastori che il loro primo dovere è nutrire il gregge - nutrire il gregge - che il Signore ha loro affidato e di cercare di accogliere - con paternità e misericordia e senza false paure - le pecorelle smarrite. Ho sbagliato, qui. Ho detto accogliere: andare a trovarle.

Il suo compito è di ricordare a tutti che l'autorità nella Chiesa è servizio (cf. Mc 9, 33-35) come ha spiegato con chiarezza Papa Benedetto XVI, con parole che cito testualmente: «La Chiesa è chiamata e si impegna ad esercitare questo tipo di autorità che è servizio, e la esercita non a titolo proprio, ma nel nome di Gesù Cristo ... attraverso i Pastori della Chiesa, infatti, Cristo pasce il suo gregge: è Lui che lo guida, lo protegge, lo corregge, perché lo ama profondamente. Ma il Signore Gesù, Pastore supremo delle nostre anime, ha voluto che il Collegio Apostolico, oggi i Vescovi, in comunione con il Successore di Pietro ... partecipassero a questa sua missione di prendersi cura del Popolo di Dio, di essere educatori nella fede, orientando, animando e sostenendo la comunità cristiana, o, come dice il Concilio, "curando, soprattutto che i singoli fedeli siano guidati nello Spirito Santo a vivere secondo il Vangelo la loro propria vocazione, a praticare una carità sincera ed operosa e ad esercitare quella libertà con cui Cristo ci ha liberati"(Presbyterorum Ordinis, 6) ... è attraverso di noi - continua Papa Benedetto - che il Signore raggiunge le anime, le istruisce, le custodisce, le guida. Sant'Agostino, nel suo Commento al Vangelo di San Giovanni, dice: "Sia dunque impegno d'amore pascere il gregge del Signore" (123,5); questa è la suprema norma di condotta dei ministri di Dio, un amore incondizionato, come quello del Buon Pastore, pieno di gioia, aperto a tutti, attento ai vicini e premuroso verso i lontani (cf. S. Agostino, Discorso 340, 1; Discorso 46, 15), delicato verso i più deboli, i piccoli, i semplici, i peccatori, per manifestare l'infinita misericordia di Dio con le parole rassicuranti della speranza (cf. Id., Lettera 95, 1)» (Benedetto XVI, Udienza Generale, Mercoledì, 26 maggio 2010).

Quindi, la Chiesa è di Cristo - è la Sua Sposa - e tutti i vescovi, in comunione con il Successore di Pietro, hanno il compito e il dovere di custodirla e di servirla, non come padroni ma come servitori. Il Papa, in questo contesto, non è il signore supremo ma piuttosto il supremo servitore - il "servus servorum Dei"; il garante dell'ubbidienza e della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, al Vangelo di Cristo e alla Tradizione della Chiesa, mettendo da parte ogni arbitrio personale, pur essendo - per volontà di Cristo stesso - il "Pastore e Dottore supremo di tutti i fedeli" (Can. 749) e pur godendo "della potestà ordinaria che è suprema, piena, immediata e universale nella Chiesa" (cf. Cann. 331-334).

Cari fratelli e sorelle, ora abbiamo ancora un anno per maturare, con vero discernimento spirituale, le idee proposte e trovare soluzioni concrete a tante difficoltà e innumerevoli sfide che le famiglie devono affrontare; a dare risposte ai tanti scoraggiamenti che circondano e soffocano le famiglie.

Un anno per lavorare sulla "Relatio synodi" che è il riassunto fedele e chiaro di tutto quello che è stato detto e discusso in questa aula e nei circoli minori. E viene presentato alle Conferenze episcopali come "Lineamenta".

Il Signore ci accompagni, ci guidi in questo percorso a gloria del Suo nome con l'intercessione della Beata Vergine Maria e di San Giuseppe! E per favore non dimenticate di pregare per me!

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Il Vangelo della famiglia fra desiderio, dono e sfide
A partire dalla recente Assemblea del Sinodo dei Vescovi
(Torun, Polonia, 28 Ottobre 2014)
di Bruno Forte Arcivescovo Metropolita di Chieti-Vasto

 

Introduzione: il Sinodo dei tre Papi e la centralità della famiglia - 1. Crisi dell’istituto familiare? - 2. Il Vangelo della famiglia - 3. Pastorale familiare e delle situazioni difficili o irregolari e servizio al Vangelo della vita - Conclusione

 

Introduzione: il Sinodo dei tre Papi e la centralità della famiglia

L’Assemblea del Sinodo dei Vescovi 2014 (celebrata da 5 al 19 Ottobre) potrebbe essere caratterizzata del suo rapporto a tre figure di Pontefici, tanto da azzardarne la definizione di “Sinodo dei tre Papi”. Il primo fra essi è certamente Francesco: la sua impronta si è vista sin dall’inizio, quando ha invitato i vescovi a parlare in assoluta libertà, precisando che non dovesse esserci niente di cui si potesse dire “di questo non si può parlare”. I Padri sinodali hanno preso alla lettera l’invito del Successore di Pietro, dando vita a un dibattito ricchissimo, dove sono risuonati accenti anche molto diversi fra loro, pur nella comune volontà di cercare il bene maggiore per le famiglie di tutto il mondo, al cui servizio la Chiesa si pone. In questo senso, l’Assemblea ha rappresentato un esercizio alto della collegialità episcopale, della partecipazione attiva e responsabile, cioè, del collegio dei vescovi al governo pastorale del popolo di Dio con il Papa e sotto la sua guida. Ne è risultata l’esperienza di una Chiesa viva, adulta nell’assumere la complessità, accomunata dall’ascolto dello Spirito, in cammino nella ricerca delle vie nuove cui il Signore la chiama: “Potrei dire serenamente - ha affermato Francesco nel discorso conclusivo di sabato 18 ottobre - che con uno spirito di collegialità e di sinodalità abbiamo vissuto davvero un'esperienza di Sinodo, un percorso solidale, un cammino insieme… e come in ogni cammino ci sono stati dei momenti di corsa veloce, quasi a voler vincere il tempo e raggiungere al più presto la mèta; altri momenti di affaticamento, quasi a voler dire basta; altri momenti di entusiasmo e di ardore”. Il Papa non ha esitato poi ad aggiungere: “Personalmente mi sarei molto preoccupato e rattristato se… tutti fossero stati d'accordo o taciturni in una falsa pace quietista. Invece ho visto e ho ascoltato - con gioia e riconoscenza - discorsi e interventi pieni di fede, di zelo pastorale e dottrinale, di saggezza, di franchezza, di coraggio e di parresia. E ho sentito che è stato messo davanti ai propri occhi il bene della Chiesa, delle famiglie e la suprema lex, la salus animarum". Soprattutto per questo, quello appena concluso è stato il Sinodo di Papa Francesco, caratterizzato dalla grande fiducia che sin dall’inizio del suo servizio petrino egli ha voluto dare alla collegialità episcopale. L’altra figura di pontefice che ha ispirato e accompagnato i lavori sinodali è stata quella del Papa emerito Benedetto XVI: sebbene sia stato fisicamente presente solo alla canonizzazione dell’amato Paolo VI, si può dire che la scelta di fondo di affrontare con onestà le sfide e i problemi della famiglia oggi corrisponda a quanto egli ha voluto decisamente per la Chiesa negli otto anni del suo pontificato riguardo a tutti gli aspetti della vita del popolo di Dio. Alcuni temi, poi, sono stati ispirati direttamente al suo magistero: così l’attenzione alla rilevanza della fede degli sposi nella celebrazione del matrimonio. Già da Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, egli aveva affermato: "Ulteriori studi approfonditi esige la questione se cristiani non credenti - battezzati che non hanno mai creduto o non credono più in Dio - veramente possano contrarre un matrimonio sacramentale. In altre parole: si dovrebbe chiarire se veramente ogni matrimonio tra due battezzati è ipso facto un matrimonio sacramentale". Il ragionamento è stringente: dal momento che la fede è parte dell’essenza del sacramento, "l’evidenza della non fede" ha come conseguenza che il sacramento non si realizzi. Gli effetti di una simile conclusione potrebbero essere ampi nel riconoscimento dell’invalidità di molti matrimoni, aprendo così la strada allo snellimento di non pochi processi matrimoniali canonici. Soprattutto, però, l’insistenza di Papa Benedetto sulla rilevanza della fede motiva l’esigenza di un’accurata preparazione alle nozze, intesa anzitutto come “mistagogia”, e dunque come cammino che porti gli sposi cristiani a riscoprire e vivere la grazia del loro battesimo e degli altri sacramenti nella costruzione della nuova famiglia e nell’assumere gli impegni relativi alla indissolubilità del vincolo e all’apertura alla procreazione: temi su cui il Sinodo si è espresso con chiarezza dottrinale e attenzione pastorale. Il terzo papa di cui si è avvertita particolarmente la presenza ispiratrice al Sinodo è stato il nuovo beato Paolo VI: questo non solo per la scelta di far coincidere la chiusura dell’assemblea sinodale con la sua beatificazione, ma anche e soprattutto per lo stile e lo spirito dei lavori. Papa della conclusione e dell’attuazione del Concilio Vaticano II, Montini è stato il grande testimone del dialogo della Chiesa con la modernità, attento alla ricerca tutt’altro che facile e scontata delle mediazioni opportune fra la salvezza offerta in Cristo e la storia reale delle donne e degli uomini del nostro presente. In ascolto fedele dei segni dei tempi e nella rigorosa fedeltà all’identità della Chiesa e del suo patrimonio di fede, Paolo VI ha sovente vissuto in se stesso la tensione della ricerca, quella sofferenza del divenire in cui la luce dell’Eterno andava proposta fra le penombre e perfino nelle tenebre di un’ora carica di contraddizioni e di resistenze. Questo è però anche il compito che i credenti di oggi si trovano ad affrontare in rapporto alle culture del “villaggio globale”, spesso omologate a modelli forti ed insieme diversificate in relazione alla varietà e complessità delle sfide contestuali. Non pochi Padri hanno testimoniato di avvertire un clima di lavoro per tanti aspetti simile alle atmosfere conciliari, prolungate nella grande opera di servizio al popolo di Dio e all’umanità di Papa Montini. Anche così il Sinodo è stata un’avventura bella, che ha aperto la porta a nuovi cammini ed esigerà coraggio e impegno da parte di tutti i credenti per corrispondere a quanto lo Spirito sta dicendo alla Chiesa. Appare dunque veramente ricco di spirito montiniano l’appello finale di Papa Francesco a essere la Chiesa “che non ha paura di rimboccarsi le maniche per versare l’olio e il vino sulle ferite degli uomini; che non guarda l’umanità da un castello di vetro per giudicare o classificare le persone... che ha le porte spalancate per ricevere i bisognosi, i pentiti e non solo i giusti o coloro che credono di essere perfetti! La Chiesa che non si vergogna del fratello caduto e non fa finta di non vederlo, anzi si sente coinvolta e quasi obbligata a rialzarlo e a incoraggiarlo a riprendere il cammino e lo accompagna verso l'incontro definitivo, con il suo Sposo, nella Gerusalemme Celeste”. Una Chiesa di uomini e per gli uomini, decisa a non abdicare mai al suo compito di essere voce del Dio vivo, che ha parlato alla storia in Gesù Cristo: la Chiesa che un altro grande Papa, San Giovanni Paolo II, il “Papa della famiglia”, come lo ha definito Francesco, ha impersonato in maniera singolare, proprio così ispirando cammini al tempo stesso fedeli e nuovi, come quelli percorsi e aperti da questa Assemblea sinodale. Già questo legame forte del recente Sinodo ai grandi Papi che hanno governato la Chiesa dal Concilio ad oggi, mostra come il tema della famiglia sia stato centrale nel magistero dei Successore di Pietro a noi più vicini nel tempo. Peraltro, la Costituzione pastorale del Concilio Vaticano II sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et Spes, fra le sfide cui chiedeva di dedicare maggiore attenzione e impegno, aveva menzionato al primo posto la famiglia, fondamento del vivere insieme degli esseri umani: “La famiglia, nella quale le diverse generazioni s’incontrano e si aiutano vicendevolmente a raggiungere una saggezza umana più completa e ad armonizzare i diritti della persona con le altre esigenze della vita sociale, è veramente il fondamento della società” (GS 47). Quest’attenzione è stata poi particolarmente viva nel magistero di Giovanni Paolo II, che aveva scelto “la famiglia cristiana” come tema della V Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi (26 Settembre - 25 Ottobre 1980) e vi aveva dedicato l’Esortazione Apostolica ad esso seguita Familiaris consortio (1981), dove non si esita ad affermare che “l’avvenire dell’umanità passa attraverso la famiglia!” (FC 86). Le ragioni di questa importanza dell’istituto familiare sono riconoscibili nella sua natura e missione, basate sul disegno divino sull’umanità, come afferma la “Relatio” conclusiva della recente Assemblea Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, che per volontà di Papa Francesco costituirà il testo dei “Lineamenta” offerti alle Chiese in vista dell’Assemblea Ordinaria del 2015: “Grembo di gioie e di prove, di affetti profondi e di relazioni a volte ferite, la famiglia è veramente ‘scuola di umanità’ (cf. Gaudium et Spes, 52), di cui si avverte fortemente il bisogno. Nonostante i tanti segnali di crisi dell’istituto familiare nei vari contesti del villaggio globale, il desiderio di famiglia resta vivo, in specie fra i giovani, e motiva la Chiesa, esperta in umanità e fedele alla sua missione, ad annunciare senza sosta e con convinzione profonda il Vangelo della famiglia che le è stato affidato con la rivelazione dell’amore di Dio in Gesù Cristo e ininterrottamente insegnato dai Padri, dai Maestri della spiritualità e dal Magistero della Chiesa. La famiglia assume per la Chiesa un’importanza del tutto particolare e nel momento in cui tutti i credenti sono invitati a uscire da se stessi è necessario che la famiglia si riscopra come soggetto imprescindibile per l’evangelizzazione” (n. 2). Le riflessioni che seguono toccheranno allora innanzitutto le sfide attuali che riguardano l’istituto familiare, per richiamare poi il “Vangelo della famiglia” che la Chiesa è chiamata ad annunciare, per considerare infine la pastorale familiare in generale, quella delle situazioni difficili o irregolari e le questioni pastoralmente rilevanti relative alla validità e nullità del vincolo matrimoniale e all’apertura alla vita.

 

1. Crisi dell’istituto familiare?

Scrive Papa Francesco nell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium (2013): “La famiglia attraversa una crisi culturale profonda, come tutte le comunità e i legami sociali. Nel caso della famiglia, la fragilità dei legami diventa particolarmente grave perché si tratta della cellula fondamentale della società, del luogo dove si impara a convivere nella differenza e ad appartenere ad altri e dove i genitori trasmettono la fede ai figli. Il matrimonio tende a essere visto come una mera forma di gratificazione affettiva che può costituirsi in qualsiasi modo e modificarsi secondo la sensibilità di ognuno. Ma il contributo indispensabile del matrimonio alla società supera il livello dell’emotività e delle necessità contingenti della coppia” (n. 66). Non mancano, naturalmente, aspetti positivi nella situazione attuale dell’istituto familiare, mescolati e talvolta perfino oscurati da aspetti negativi. Gli uni e gli altri sono così presentati nella Relatio conclusiva del recente Sinodo: “Fedeli all’insegnamento di Cristo guardiamo alla realtà della famiglia oggi in tutta la sua complessità, nelle sue luci e nelle sue ombre. Pensiamo ai genitori, ai nonni, ai fratelli e alle sorelle, ai parenti prossimi e lontani, e al legame tra due famiglie che tesse ogni matrimonio. Il cambiamento antropologico-culturale influenza oggi tutti gli aspetti della vita e richiede un approccio analitico e diversificato. Vanno sottolineati prima di tutto gli aspetti positivi: la più grande libertà di espressione e il migliore riconoscimento dei diritti della donna e dei bambini, almeno in alcune regioni. Ma, d’altra parte, bisogna egualmente considerare il crescente pericolo rappresentato da un individualismo esasperato che snatura i legami familiari e finisce per considerare ogni componente della famiglia come un'isola, facendo prevalere, in certi casi, l'idea di un soggetto che si costruisce secondo i propri desideri assunti come un assoluto. A ciò si aggiunge anche la crisi della fede che ha toccato tanti cattolici e che spesso è all’origine delle crisi del matrimonio e della famiglia” (n. 5). È necessario considerare in primo luogo i condizionamenti che nei vari contesti gravano sulla realtà familiare: “In alcune società vige ancora la pratica della poligamia e in alcuni contesti tradizionali la consuetudine del ‘matrimonio per tappe’. In altri contesti permane la pratica dei matrimoni combinati. Nei Paesi in cui la presenza della Chiesa cattolica è minoritaria sono numerosi i matrimoni misti e di disparità di culto con tutte le difficoltà che essi comportano riguardo alla configurazione giuridica, al battesimo e all'educazione dei figli e al reciproco rispetto dal punto di vista della diversità della fede. In questi matrimoni può esistere il pericolo del relativismo o dell’indifferenza, ma vi può essere anche la possibilità di favorire lo spirito ecumenico e il dialogo interreligioso in un’armoniosa convivenza di comunità che vivono nello stesso luogo. In molti contesti, e non solo occidentali, si va diffondendo ampiamente la prassi della convivenza che precede il matrimonio o anche di convivenze non orientate ad assumere la forma di un vincolo istituzionale. A questo si aggiunge spesso una legislazione civile che compromette il matrimonio e la famiglia. A causa della secolarizzazione in molte parti del mondo il riferimento a Dio è fortemente diminuito e la fede non è più socialmente condivisa” (n. 7). La stessa Relatio descrive, poi, articolatamente gli aspetti più rilevanti della crisi della famiglia, in atto in ampi settori del “villaggio globale”: “Molti sono i bambini che nascono fuori dal matrimonio, specie in alcuni Paesi, e molti quelli che poi crescono con uno solo dei genitori o in un contesto familiare allargato o ricostituito. Il numero dei divorzi è crescente e non è raro il caso di scelte determinate unicamente da fattori di ordine economico. I bambini spesso sono oggetto di contesa tra i genitori e i figli sono le vere vittime delle lacerazioni familiari. I padri sono spesso assenti non solo per cause economiche laddove invece si avverte il bisogno che essi assumano più chiaramente la responsabilità per i figli e per la famiglia. La dignità della donna ha ancora bisogno di essere difesa e promossa. Oggi infatti, in molti contesti, l’essere donna è oggetto di discriminazione e anche il dono della maternità viene spesso penalizzato piuttosto che essere presentato come valore. Non vanno neppure dimenticati i crescenti fenomeni di violenza di cui le donne sono vittime, talvolta purtroppo anche all’interno delle famiglie e la grave e diffusa mutilazione genitale della donna in alcune culture. Lo sfruttamento sessuale dell’infanzia costituisce poi una delle realtà più scandalose e perverse della società attuale. Anche le società attraversate dalla violenza a causa della guerra, del terrorismo o della presenza della criminalità organizzata, vedono situazioni familiari deteriorate e soprattutto nelle grandi metropoli e nelle loro periferie cresce il cosiddetto fenomeno dei bambini di strada. Le migrazioni inoltre rappresentano un altro segno dei tempi da affrontare e comprendere con tutto il carico di conseguenze sulla vita familiare” (n. 8). Non di meno, come l’Instrumentum Laboris rilevava, resta il dato innegabile che “anche di fronte a situazioni assai difficili, molte persone, soprattutto giovani, percepiscono il valore del legame stabile e duraturo, un vero e proprio desiderio di matrimonio e famiglia, in cui realizzare un amore fedele e indissolubile, che offra serenità per la crescita umana e spirituale” (SPF 45). Fra desiderio e rifiuto, la famiglia riguarda tutti, e non può non essere oggetto dell’attenzione prioritaria della Chiesa impegnata ad annunciare il Vangelo alle donne e agli uomini d’oggi.

 

2. Il Vangelo della famiglia

Alla luce delle sfide e delle attese riguardanti la famiglia oggi la Chiesa si riconosce chiamata a proporre con convinzione quello che può esser detto il “Vangelo della famiglia”, fondato sul disegno del Creatore e sulla parola e l’azione del Figlio incarnato. La Relatio Synodi afferma in proposito: “L’annunzio del Vangelo della famiglia costituisce un’urgenza per la nuova evangelizzazione. La Chiesa è chiamata ad attuarlo con tenerezza di madre e chiarezza di maestra (cf. Ef 4,15), in fedeltà alla kenosi misericordiosa del Cristo” (n. 29). I contenuti fondamentali di questa buona novella sono così evocati: “Nella famiglia, ‘che si potrebbe chiamare Chiesa domestica’ (Lumen Gentium, 11), matura la prima esperienza ecclesiale della comunione tra persone, in cui si riflette, per grazia, il mistero della Santa Trinità. ‘È qui che si apprende la fatica e la gioia del lavoro, l’amore fraterno, il perdono generoso, sempre rinnovato, e soprattutto il culto divino attraverso la preghiera e l’offerta della propria vita’ (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1657). La Santa Famiglia di Nazaret ne è il modello mirabile, alla cui scuola noi ‘comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo’ (Paolo VI, Discorso a Nazaret, 5 gennaio 1964). Il Vangelo della famiglia nutre pure quei semi che ancora attendono di maturare, e deve curare quegli alberi che si sono inariditi e necessitano di non essere trascurati” (n. 23). La buona notizia riguardo alla famiglia abbraccia in particolare quattro aspetti, che vanno proposti nella loro unità: la famiglia come scuola di umanità, di socialità, di vita ecclesiale e di santificazione. La famiglia è anzitutto scuola di umanità, scuola di amore nella vita e nella crescita della persona (cf. Gaudium et Spes 52). Questo avviene anzitutto nella relazione che il matrimonio richiede e stabilisce fra i coniugi: “Proprio perché atto eminentemente umano, essendo diretto da persona a persona con un sentimento che nasce dalla volontà, l’amore (coniugale) abbraccia il bene di tutta la persona; perciò ha la possibilità di arricchire di particolare dignità le espressioni del corpo e della vita psichica e di nobilitarle come elementi e segni speciali dell’amicizia coniugale. Il Signore si è degnato di sanare, perfezionare ed elevare questo amore con uno speciale dono di grazia e carità” (ib. 49). La Familiaris consortio ha posto giustamente al centro e a fondamento della realtà familiare il vincolo dell’amore: “L’amore è la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano… L’istituzione matrimoniale non è una indebita ingerenza della società o dell’autorità, né l’imposizione estrinseca di una forma, ma esigenza interiore del patto d’amore coniugale che pubblicamente si afferma come unico ed esclusivo perché sia vissuta così la piena fedeltà al disegno di Dio Creatore” (FC 11). Perciò, riconoscere il valore di questo amore unitivo ed evangelizzarne continuamente la necessità e la bellezza è compito ineludibile dei credenti: “Testimoniare l’inestimabile valore dell’indissolubilità e della fedeltà matrimoniale è uno dei doveri più preziosi e più urgenti delle coppie cristiane del nostro tempo” (FC 20). All’amore che nasce dall’alto ed è alla base di ogni vero amore, in particolare di quello familiare, Benedetto XVI ha consacrato la sua Enciclica Deus caritas est (25 Dicembre 2005). Nella distinzione che l’Enciclica fa fra “eros” e “agape”, fra amore passionale e amore oblativo, si avverte l’eco del dibattito novecentesco avviato dalle ricerche di Anders Nygren (autore dell’opera classica Eros e agape). In questo quadro, il Papa afferma che l’amore cristiano “non è rifiuto dell’eros, non è il suo avvelenamento, ma la sua guarigione in vista della sua vera grandezza” (n. 5). E questo avviene mediante un amore più grande, che ci è donato dall’alto: l’esperienza del Dio Amore rende possibile il dono di sé all’altro e agli altri. “Sì, amore è ‘estasi’, estasi non nel senso di un momento di ebbrezza, ma estasi come cammino, come esodo permanente dall’io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio” (n. 6). È l’amore di chi sa di dover dare la vita: “L’intima partecipazione personale al bisogno e alla sofferenza dell’altro diventa un partecipargli me stesso: perché il dono non umilii l’altro, devo dargli non soltanto qualcosa di mio ma me stesso, devo essere presente nel dono come persona” (n. 34). Un programma, questo, ineludibile per ogni vita familiare che voglia essere autentica e umanizzante, e che si lasci plasmare dal modello dell’amore eterno: “Il matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa l’icona del rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa: il modo di amare di Dio diventa la misura dell’amore umano” (n. 11). Nell’Enciclica Lumen Fidei (29 Giugno 2013) Papa Francesco si sofferma sul tema della famiglia alla luce del primato della fede: “Il primo ambito in cui la fede illumina la città degli uomini si trova nella famiglia. Penso anzitutto all’unione stabile dell’uomo e della donna nel matrimonio. Essa nasce dal loro amore, segno e presenza dell’amore di Dio, dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà della differenza sessuale, per cui i coniugi possono unirsi in una sola carne (cfr Gen 2,24) e sono capaci di generare una nuova vita, manifestazione della bontà del Creatore, della sua saggezza e del suo disegno di amore. Fondati su quest’amore, uomo e donna possono promettersi l’amore mutuo con un gesto che coinvolge tutta la vita e che ricorda tanti tratti della fede. Promettere un amore che sia per sempre è possibile quando si scopre un disegno più grande dei propri progetti, che ci sostiene e ci permette di donare l’intero futuro alla persona amata. La fede poi aiuta a cogliere in tutta la sua profondità e ricchezza la generazione dei figli, perché fa riconoscere in essa l’amore creatore che ci dona e ci affida il mistero di una nuova persona” (n. 52). Sulla via dell’amore, illuminato e nutrito dalla fede, la famiglia può profilarsi dunque come un’autentica scuola di umanità buona, sana e felice secondo il progetto di Dio. La famiglia è anche scuola di socialità: essa fa crescere la persona nello sviluppo delle sue capacità di socializzazione e nella costruzione della società. Afferma la Familiaris consortio: “La famiglia è la prima e fondamentale scuola di socialità: in quanto comunità di amore, essa trova nel dono di sé la legge che la guida e la fa crescere. Il dono di sé, che ispira l’amore dei coniugi tra di loro, si pone come modello e norma del dono di sé quale deve attuarsi nei rapporti tra fratelli e sorelle e tra le diverse generazioni che convivono 8 nella famiglia. E la comunione e la partecipazione quotidianamente vissuta nella casa, nei momenti di gioia e di difficoltà, rappresenta la più concreta ed efficace pedagogia dei figli nel più ampio orizzonte della società” (FC 37). Così, “nel matrimonio e nella famiglia si costituisce un complesso di relazioni interpersonali - nuzialità, paternità-maternità, filiazione, fraternità -, mediante le quali ogni persona umana è introdotta nella famiglia umana e nella famiglia di Dio, che è la Chiesa” (FC 15). In maniera analoga, la famiglia diventa grembo di vita ecclesiale, che educa a vivere nella comunione della Chiesa: “Il matrimonio e la famiglia cristiani edificano la Chiesa: nella famiglia, infatti, la persona umana non solo viene generata e progressivamente introdotta, mediante l’educazione, nella comunità umana, ma mediante la rigenerazione del battesimo e l’educazione alla fede essa viene introdotta anche nella famiglia di Dio, che è la Chiesa” (FC 15). “In quanto «piccola Chiesa», la famiglia cristiana è chiamata, a somiglianza della «grande Chiesa», ad essere segno di unità per il mondo e ad esercitare in tal modo il suo ruolo profetico testimoniando il Regno e la pace di Cristo, verso cui il mondo intero è in cammino” (FC 48). Il protagonismo attivo e rilevante della famiglia nella vita ecclesiale è così messo in luce: “La famiglia cristiana è chiamata a prendere parte viva e responsabile alla missione della Chiesa in modo proprio e originale, ponendo al servizio della Chiesa e della società se stessa nel suo essere ed agire, in quanto intima comunità di vita e di amore” (FC 50). D’altra parte, alla famiglia la Chiesa può guardare come ad un modello cui ispirarsi: “Grazie alla carità della famiglia, la Chiesa può e deve assumere una dimensione più domestica, cioè più familiare, adottando uno stile più umano e fraterno di rapporti” (FC 64). La famiglia è infine scuola di santificazione, in cui si esercita e si alimenta il cammino di santità dei coniugi e dei figli: “I coniugi cristiani sono fortificati e quasi consacrati da uno speciale sacramento per i doveri e la dignità del loro stato. Ed essi, compiendo con la forza di tale sacramento il loro dovere coniugale e familiare, penetrati dello spirito di Cristo, per mezzo del quale tutta la loro vita è pervasa di fede, speranza e carità, tendono a raggiungere sempre più la propria perfezione e la mutua santificazione, e assieme rendono gloria a Dio” (GS 48). Il sacramento nuziale è in se stesso fonte della grazia necessaria a realizzare un simile progetto di vita: “Come dal sacramento derivano ai coniugi il dono dell’obbligo di vivere quotidianamente la santificazione ricevuta, così dallo stesso sacramento discendono la grazia e l’impegno morale di trasformare tutta la loro vita in un continuo sacrificio spirituale” (FC 56). La realizzazione di questa chiamata alla santità coniugale e familiare è alimentata dai doni sacramentali del Signore e dalla corrispondenza docile e orante ad essi: “Il sacerdozio battesimale dei fedeli, vissuto nel matrimonio sacramento, costituisce per i coniugi e per la famiglia il fondamento di una vocazione e di una missione sacerdotale, per la quale le loro esistenze quotidiane si trasformano in «sacrifici spirituali graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo» (cf. 1Pt 2,5): è quanto avviene, non solo con la celebrazione dell’Eucaristia e degli altri sacramenti e con l’offerta di se 9 stessi alla gloria di Dio, ma anche con la vita di preghiera, con il dialogo orante col Padre per Gesù Cristo nello Spirito Santo” (FC 59).

 

3. Pastorale familiare e delle situazioni difficili o irregolari e servizio al Vangelo della vita

Annunciare il Vangelo della famiglia è dunque dovere prioritario di tutta la Chiesa, che deve adempierlo nella concretezza delle situazioni e nella fedeltà ai tempi in cui opera: “L’azione pastorale della Chiesa deve essere progressiva, anche nel senso che deve seguire la famiglia, accompagnandola passo dopo passo nelle diverse tappe della sua formazione e del suo sviluppo” (FC 65). Occorre, pertanto, discernere attentamente le vie pastorali adatte a meglio proporre la bellezza e l’importanza della famiglia e quelle più consone a manifestare la misericordia di Dio alle famiglie in difficoltà, a quelle in crisi, ai separati, ai divorziati, risposati e non. A tal fine l’azione evangelizzatrice e catechetica del popolo di Dio dovrà anzitutto testimoniare il valore irrinunciabile della dottrina dell’indissolubilità del matrimonio, fondata sull’analogia fra il vincolo nuziale e quello indissolubile di Cristo con la Chiesa. Afferma la Relatio Synodi: “Il dono reciproco costitutivo del matrimonio sacramentale è radicato nella grazia del battesimo che stabilisce l’alleanza fondamentale di ogni persona con Cristo nella Chiesa. Nella reciproca accoglienza e con la grazia di Cristo i nubendi si promettono dono totale, fedeltà e apertura alla vita, essi riconoscono come elementi costitutivi del matrimonio i doni che Dio offre loro, prendendo sul serio il loro vicendevole impegno, in suo nome e di fronte alla Chiesa. Ora, nella fede è possibile assumere i beni del matrimonio come impegni meglio sostenibili mediante l’aiuto della grazia del sacramento. Dio consacra l’amore degli sposi e ne conferma l’indissolubilità, offrendo loro l’aiuto per vivere la fedeltà, l’integrazione reciproca e l’apertura alla vita. Pertanto, lo sguardo della Chiesa si volge agli sposi come al cuore della famiglia intera che volge anch’essa lo sguardo verso Gesù” (n. 22). Nessuna forma di “divorzio” è accettabile alla luce della fede ecclesiale e la meta alta dell’indissolubile fedeltà va sempre incoraggiata e sostenuta. Occorrerà pertanto verificare e potenziare tutte le modalità con cui sostenere i coniugi nel loro impegno di fedeltà reciproca e di dedizione ai figli. Non di meno sarà necessario riflettere sul modo migliore di accompagnare i separati e i divorziati non risposati in una vita di fede e di carità, che li faccia sentire protagonisti della comunione ecclesiale, oltre a individuare tutte le forme e i linguaggi per annunciare ai divorziati risposati che essi restano figli della Chiesa e oggetto della misericordia di Dio, invitandoli a cammini di fede e di penitenza che li aiutino a sentirsi amati dal Padre. In proposito, la Relatio Synodi afferma: “La Chiesa, in quanto maestra sicura e madre premurosa, pur riconoscendo che per i battezzati non vi è altro vincolo nuziale che quello sacramentale, e che ogni rottura di esso è contro la volontà di Dio, è anche consapevole della fragilità di molti suoi figli che faticano nel cammino della fede. «Pertanto, senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno. […] Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà. A tutti deve giungere la consolazione e lo stimolo dell’amore salvifico di Dio, che opera misteriosamente in ogni persona, al di là dei suoi difetti e delle sue cadute» (Evangelii Gaudium, 44)” (n. 24). Il significato del carattere eminentemente pastorale che ha avuto la recente Assemblea Sinodale sulla famiglia si coglie qui in tutta la sua evidenza: non è in discussione la dottrina della Chiesa, più volte ribadita anche negli ultimi anni dai vari interventi magisteriali. La riflessione sinodale ha riguardato le applicazioni pastorali, il modo di proporre la dottrina (ad esempio a livello di linguaggio), di accompagnarne la recezione e la pratica, di mostrarne in maniera chiara le potenzialità umanizzanti a fronte di una diffusa non conoscenza o incomprensione (cf. SPF 17-19). L’Evangelii Gaudium sottolinea in proposito come l’agire pastorale della Chiesa nei confronti delle persone in situazioni familiari difficili o irregolari debba riflettere lo sguardo di misericordia con cui il Padre celeste guarda e ama ciascuno dei suoi figli: di conseguenza, verso chi vive realtà che comportano grande sofferenza “la vera urgenza pastorale è quella di permettere a queste persone di curare le ferite, di guarire e di riprendere a camminare insieme a tutta la comunità ecclesiale” (EG 80). A sua volta la Relatio Synodi afferma: “In ordine ad un approccio pastorale verso le persone che hanno contratto matrimonio civile, che sono divorziati e risposati, o che semplicemente convivono, compete alla Chiesa rivelare loro la divina pedagogia della grazia nelle loro vite e aiutarle a raggiungere la pienezza del piano di Dio in loro. Seguendo lo sguardo di Cristo, la cui luce rischiara ogni uomo (cf. Gv 1,9; Gaudium et Spes, 22) la Chiesa si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo incompiuto, riconoscendo che la grazia di Dio opera anche nelle loro vite dando loro il coraggio per compiere il bene, per prendersi cura con amore l’uno dell’altro ed essere a servizio della comunità nella quale vivono e lavorano” (n. 25). Tutto questo non ha nulla a che vedere con l’idea banalizzante di un eventuale “divorzio cattolico”: la medicina della misericordia non è mai finalizzata a favorire i naufragi, ma sempre e solo a salvare la barca sul mare in tempesta e a dare ai naufraghi l’accoglienza, la cura e il sostegno necessari. Se non si comprende questa fondamentale intenzione, si equivocherà irrimediabilmente anche quanto il Sinodo ha detto sulla situazione dei separati, dei divorziati, dei divorziati risposati, delle convivenze, delle unioni di fatto, o delle unioni fra persone dello stesso sesso. La coniugazione di testimonianza alla verità e di esercizio della misericordia deve essere, dunque, lo stile proprio dell’azione pastorale della Chiesa. La Relatio Synodi non esita ad affermare: “Una dimensione nuova della pastorale familiare odierna consiste nel prestare attenzione alla realtà dei matrimoni civili tra uomo e donna, ai matrimoni tradizionali e, fatte le debite differenze, anche alle convivenze. Quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico, è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità di superare le prove, può essere vista come un’occasione da accompagnare nello sviluppo verso il sacramento del matrimonio” (n. 27). Un aspetto peculiare di questa sollecitudine pastorale verso le famiglie ferite o divise riguarda la cura dei cammini rivolti ad accertare la validità o la nullità del vincolo matrimoniale. Soprattutto in un’epoca come la nostra, in cui tante coppie di sposi conoscono il dramma del fallimento del loro progetto d’amore, e non pochi cercano di rifarsi una vita affettiva mediante nuovi vincoli sentimentali e nuove nozze civili, quest’aspetto del ministero ecclesiale verso la realtà della famiglia assume un significato rilevante. Peraltro, una costatazione onesta rileverà facilmente come non pochi dei matrimoni celebrati in Chiesa possano risultare non validi, in particolare se si tiene conto dell’importanza della fede in ordine alla valida ed efficace ricezione del sacramento, pur senza svalutare naturalmente la presenza della retta intenzione che salva la validità del vincolo nuziale. Per accertare in maniera efficace e snella l’eventuale nullità del vincolo si fanno strada varie ipotesi: “Un grande numero dei Padri - si legge nella Relatio Synodi - ha sottolineato la necessità di rendere più accessibili ed agili, possibilmente del tutto gratuite, le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità. Tra le proposte sono stati indicati: il superamento della necessità della doppia sentenza conforme; la possibilità di determinare una via amministrativa sotto la responsabilità del vescovo diocesano; un processo sommario da avviare nei casi di nullità notoria. Alcuni Padri tuttavia si dicono contrari a queste proposte perché non garantirebbero un giudizio affidabile. Va ribadito che in tutti questi casi si tratta dell’accertamento della verità sulla validità del vincolo. Secondo altre proposte, andrebbe poi considerata la possibilità di dare rilevanza al ruolo della fede dei nubendi in ordine alla validità del sacramento del matrimonio, tenendo fermo che tra battezzati tutti i matrimoni validi sono sacramento” (n. 48). Inoltre, anche se non conciliabile con la dottrina cattolica dell’indissolubilità del matrimonio, la via seguita dalle Chiese ortodosse di ammettere a seconde e terze nozze dopo un cammino penitenziale, stante la validità del vincolo precedentemente contratto, potrebbe stimolare l’approfondimento della possibilità di estendere il ricorso al “privilegio paolino” (cann. 1143-1147: in favore della fede del coniuge battezzato) e al “privilegio petrino” (can. 1142: scioglimento “per grazia” del matrimonio rato e non consumato). Questi casi potrebbero essere risolti attraverso la concessione “per grazia” dello scioglimento del vincolo, che il Santo Padre potrebbe delegare ai vescovi diocesani. Su tutte queste ipotesi occorrerà proseguire la riflessione avviata nella Chiesa, al fine di fornire al Papa elementi opportuni per una sua decisione in materia, vincolante per tutto il popolo di Dio. Circa la delicata questione relativa alla “possibilità che i divorziati e risposati accedano ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia”, la Relatio Synodi registra le ipotesi in campo: “Diversi Padri sinodali hanno insistito a favore della disciplina attuale, in forza del rapporto costitutivo fra la partecipazione all’Eucaristia e la comunione con la Chiesa ed il suo insegnamento sul matrimonio indissolubile. Altri si sono espressi per un’accoglienza non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni particolari ed a condizioni ben precise, soprattutto quando si tratta di casi irreversibili e legati ad obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze ingiuste. L’eventuale accesso ai sacramenti dovrebbe essere preceduto da un cammino penitenziale sotto la responsabilità del Vescovo diocesano. Va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che «l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate» da diversi «fattori psichici oppure sociali» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1735)” (n. 52)1 . Come si vede, il Sinodo lascia aperta la questione e rimanda a un cammino di riflessione e di maturazione che dovrà impegnare la sinodalità di tutta la Chiesa e il discernimento finale del Successore di Pietro. Il paragrafo dedicato all’attenzione pastorale verso le persone con orientamento omosessuale non fa altro che richiamare due punti presenti nel magistero ecclesiale: “Alcune famiglie vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con orientamento omosessuale. Al riguardo ci si è interrogati su quale attenzione pastorale sia opportuna di fronte a questa situazione riferendosi a quanto insegna la Chiesa: «Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia». Nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali devono essere accolti con rispetto e delicatezza. «A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 4)” (n. 55). Proprio perché si tratta di posizioni assodate, meraviglia come la votazione si sia fermata a meno dei due terzi richiesti per l’approvazione. Può darsi che alcuni Padri volessero si dicesse di più e altri non desideravano se ne parlasse in una riflessione dedicata alla famiglia. In ogni caso, questo punto registra situazioni pastorali che toccano certamente anche la famiglia. Infine, la Relatio Synodi tocca i temi della trasmissione della vita, della denatalità e dell’educazione. Circa il primo punto si osserva come non sia “difficile constatare il diffondersi di una mentalità che riduce la generazione della vita a una variabile della progettazione individuale o di coppia. I fattori di ordine economico esercitano un peso talvolta determinante contribuendo al forte calo della natalità che indebolisce il tessuto sociale, compromette il rapporto tra le generazioni e rende più incerto lo sguardo sul futuro. L’apertura alla vita è esigenza intrinseca dell'amore coniugale” (n. 57). Il richiamo all’uso dei metodi naturali per la procreazione responsabile e l’accenno ai valori positivi della Humanae Vitae di Paolo VI si collegano al forte invito ad accogliere e promuovere l’accoglienza della vita a tutti i livelli, facendosi carico del compito educativo che introduce la persona cui si è data la vita nella realtà totale illuminata dalla fede nel mistero santo di Dio. Su queste sfide si gioca il futuro stesso dell’umanità, e l’impegno della comunità cristiana in questo campo assume più che mai la rilevanza di un servizio decisivo alla causa dell’uomo e del suo destino.

 

Conclusione

In conclusione, è lecito chiedersi quale immagine di Chiesa ha espresso il primo Sinodo dei Vescovi presieduto da Papa Francesco. Non esiterei a dire che emerge il volto di una Chiesa Madre, impegnata a generare, accompagnare e sostenere tutti i figli di Dio, nessuno escluso, facendosi volto per ciascuno di essi dell’infinita misericordia del cuore divino. Una Chiesa non auto-referenziale, ma “in uscita”, al servizio di tutto l’uomo in ogni uomo, per la salvezza di ogni creatura, proprio così protesa a celebrare la gloria di Dio come Chiesa “sinodale”, impegnata nel dialogo con la complessità delle culture, pronta a scommettere sulla famiglia quale cellula vitale per il futuro del mondo. Si è trattato anzitutto di una Chiesa “sinodale”. È stato lo stesso Francesco a sottolineare questo aspetto parlando ai partecipanti al Sinodo sabato 4 ottobre: “Abbiamo vissuto davvero un'esperienza di Sinodo, un percorso solidale, un cammino insieme”. Chi ha vissuto dal di dentro il Sinodo, non può che confermare questa descrizione, che corrisponde a quella di una Chiesa non arroccata nelle sue sicurezze, in ascolto dei segni dei tempi, pronta a mettersi in gioco per corrispondere alle chiamate di Dio e a spendersi per il bene degli uomini, al cui servizio è mandata. Una Chiesa dove tutti devono sentirsi coinvolti e partecipi, ciascuno secondo le responsabilità connesse ai doni ricevuti, fatta di battezzati adulti nella fede, che nella più completa libertà di espressione e nel reciproco ascolto si forzano di discernere e realizzare i disegni divini. Una Chiesa in cui, al di là di ogni logica individualista, tutti sono chiamati a camminare insieme, secondo il significato etimologico della parola “sinodo”: cammino comune, via da percorrere uniti. Questa Chiesa di cristiani adulti e responsabili si è poi dimostrata al Sinodo più che mai impegnata a dialogare con la complessità delle culture dell’intero “villaggio globale”: i vescovi, gli uditori e gli esperti presenti rappresentavano i più diversi popoli della terra, con le loro identità storiche e spirituali, pur accomunati dalla medesima fede in Gesù Cristo e dalla comunione universale della Chiesa. Le radicazioni locali si sono coniugate così al respiro della cattolicità, mostrando come si possa entrare veramente in dialogo con la diversità quando si vive la fedeltà a un’identità profonda capace di trascendere ed insieme unire le differenze. È avvenuto così che le sfide relative alle situazioni della famiglia nei più diversi contesti sono state presenti senza negare il progetto divino sull’amore umano rivelato pienamente in Cristo, accentuando anzi l’urgenza di proporre a tutti il Vangelo della famiglia, quale che siano le situazioni concrete in cui l’annuncio va realizzato. Globale e locale interagiscono in profondità nell’esperienza della “communio catholica”, e fanno della Chiesa la più “glocale” delle istituzioni operanti sul pianeta al servizio della promozione di 14 tutto l’uomo in ogni uomo. Lungi dal cancellare la ricchezza delle identità, la cattolicità la esalta e la mette in comunicazione con altri doni, possibilità diverse che fecondano l’unità universale e ne sono a loro volta arricchite e stimolate. L’inculturazione dell’unica fede in lingue e storie diverse non mortifica i valori dell’umano, ma li vivifica dal di dentro, purificandoli e portando loro la luce nuova del Vangelo. Proprio così, il Sinodo ha potuto parlare alle famiglie del mondo, così come esse sono vissute nei contesti tradizionali e in quelli segnati da profondi processi di trasformazione. Dalla Cina all’America Latina, dal Nord europeo e occidentale al Sud del pianeta, dall’America Latina all’Africa, dall’India all’emisfero australe, la causa della famiglia e dell’amore che ne costituisce l’attrazione e la forza, nonostante tutte le difficoltà e le sfide, risuona attraverso la Chiesa come buona novella e scuola di autentica umanizzazione. Una Chiesa, infine, quella espressa dal Sinodo, che scommette decisamente sulla famiglia, ben consapevole anzi delle prove che in tanti modi la segnano e dei condizionamenti che ne rendono spesso pesante il cammino, legati al mondo sociale e del lavoro, alla varietà di situazioni politiche ed economiche, alla fragilità crescente dei rapporti umani. Una Chiesa convinta, però, che proprio la famiglia sia il grembo di crescita di ognuno di noi nella propria umanità, una scuola di socializzazione, una rete di vita che apre alla fede e alla comunità ecclesiale, una via di santità fondata sul reciproco sostenersi e incoraggiarsi. La sfida per costruire questa Chiesa nella verità delle opere e dei giorni non è da poco. Con grande lucidità Papa Francesco ha indicato le tentazioni da superare per corrispondervi: quella dell'irrigidimento ostile, e cioè “il voler chiudersi dentro lo scritto (la lettera) e non lasciarsi sorprendere da Dio, dal Dio delle sorprese (lo spirito); dentro la legge, dentro la certezza di ciò che conosciamo e non di ciò che dobbiamo ancora imparare e raggiungere”, tentazione “degli zelanti, degli scrupolosi, dei premurosi e dei cosiddetti – oggi – tradizionalisti”. Quindi, la tentazione del buonismo distruttivo, “che tratta i sintomi e non le cause e le radici”, e quella del voler tutto e subito, pretendendo o di trasformare le pietre in pane, “per rompere un digiuno lungo, pesante e dolente”, o di trasformare il pane in pietra, per “scagliarla contro i peccatori, i deboli e i malati”, trasformandolo in "fardelli insopportabili". La tentazione, infine, di scendere dalla croce, “per accontentare la gente, e non rimanerci, per compiere la volontà del Padre”, e trascurare l’obbedienza alla verità, “considerandosi non custodi ma proprietari e padroni o, dall'altra parte, utilizzando una lingua minuziosa e un linguaggio di levigatura per dire tante cose e non dire niente”. Scommettere sulla famiglia oggi vuol dire navigare fra queste opposte sponde, scegliendo così la via del servizio all’uomo forse più esigente e difficile, ma anche la sola più costruttiva e conforme al progetto del Creatore nell’aver voluto la Sua creatura per amore, chiamandola a realizzarsi nella risposta alla vocazione decisiva, che è appunto quella ad amare. 

 

1  Questo numero della Relatio Synodi come anche i nn. 51 e 55 non ha ottenuto la maggioranza dei due terzi, fermandosi a superare abbastanza largamente la metà più uno dei voti. Segno della necessità di un ulteriore approfondimento teologico e pastorale sulle questioni trattate.