Scommettere sulla famiglia

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Qual è la posta in gioco nell’attuale dibattito parlamentare sulle unioni civili riguardo al bene comune? La risposta a questa domanda richiede che si rifletta sui valori di fondo implicati nelle decisioni da prendere. Mi sembra che essi siano fondamentalmente tre: i diritti del cittadino, i suoi doveri verso la “res publica” e i doveri della stessa nel promuovere il bene di tutti, per tutti. Tra i diritti del cittadino rientra certamente quello di essere rispettato nella sua dignità di persona e nella libertà e autonomia delle sue scelte nel gestire la propria vita e nello stabilire e coltivare le relazioni stabili e durature, nell’ambito delle quali intenda viverla: da questo punto di vista, chi sceglie di costruire un patto di vita stabile con una persona di sesso diverso o dello stesso sesso, può avanzare la richiesta che i diritti connessi a un tale rapporto siano pubblicamente riconosciuti e garantiti. Si tratta di diritti personali che hanno una ricaduta sociale e pubblica e che come tali possono essere regolamentati dal legislatore. A questa domanda di tutela dei diritti va però connessa quella - da essa inseparabile - del rispetto dei diritti altrui e della “res publica” e dell’osservanza dei doveri che ciò naturalmente comporta. Fra questi c’è il rispetto del dettato costituzionale, che all’articolo 29 esplicitamente afferma: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. La tutela dei diritti connessi alle cosiddette “unioni civili” non potrà pertanto essere attuata a scapito della famiglia, riconosciuta dalla Costituzione quale “società naturale fondata sul matrimonio” (l’uso del verbo “riconoscere” mostra chiaramente come il valore e il diritto della famiglia preesista a ogni arbitraria decisione contingente). La pari dignità dei coniugi esige non solo che i loro diritti siano tutelati, ma anche che il bene dell’unità familiare sia misura decisiva per il riconoscimento e la realizzazione dei diritti personali. In particolare, l’articolo 30 della Costituzione afferma il “dovere e diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”, in tal modo affermando anche il diritto dei figli a ricevere da chi ha dato loro la vita tutto il necessario per la sussistenza, la crescita, l’istruzione e l’educazione. Vengono così messi in luce accanto ai diritti dei coniugi quelli dei figli, da promuovere e tutelare fino al punto che se i genitori risultassero incapaci a farlo lo Stato deve provvedere adeguatamente: “Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti”. La promozione e tutela della famiglia, riconosciuta come bene fondante, esige dunque l’attenzione ad essa in tutte le sue componenti, sì che i diritti e doveri dei coniugi siano contemperati con quelli dei figli e della loro crescita armonica e integrale. Questa riflessione aiuta a comprendere le riserve da esprimere in particolare circa la cosiddetta “stepchild adoption”, l’adozione da parte del partner di una coppia omosessuale unita civilmente del figlio o dei figli dell’altro. Dal punto di vista dei minori quest’adozione dovrà misurarsi col diritto naturale di essi ad avere una relazione educativa che implichi la reciprocità dei sessi, necessariamente richiesta nell’atto riproduttivo che ha dato loro la vita: come la nascita è frutto dell’azione congiunta di un padre e di una madre, così la crescita dei figli non può ignorare il loro naturale bisogno di relazionarsi a genitori legati dalla reciprocità maschile - femminile. All’obiezione che tutto questo in tanti casi della vita non viene a realizzarsi, si deve rispondere che ciò non può essere ragione sufficiente a che la legge codifichi come diritto una tale possibilità. Detto con parole diverse, il diritto naturale dei figli ad avere un padre e una madre non solo nell’atto generativo, ma nell’intero processo della loro crescita ed educazione, va rispettato e tutelato in tutti i modi in cui la legge possa farlo. L’adozione del figlio del partner da parte di una coppia dello stesso sesso implicherebbe il venir meno di uno dei ruoli fondamentali nella crescita della persona, quello paterno o quello materno, a favore di una genitorialità sessualmente univoca e perciò non equiparabile a quella naturale, senza contare la complessità dei rapporti affettivi in cui il minore verrebbe a trovarsi in relazione da una parte ai genitori naturali, dall’altra al genitore aggiunto dello stesso sesso del partner. Queste riflessioni sono dettate da una cura per l’umano nella sua integralità, che non ha alcun intento polemico o discriminatorio: come ha affermato in maniera chiara Papa Francesco nel suo discorso al Tribunale della Rota Romana in occasione della recente inaugurazione dell’Anno Giudiziario (22.01.2016), “non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione... La famiglia, fondata sul matrimonio indissolubile, unitivo e procreativo, appartiene al ‘sogno’ di Dio e della sua Chiesa per la salvezza dell’umanità”. Citando il grande Papa del dialogo, Paolo VI, Francesco ha poi aggiunto: “Per mezzo del matrimonio e della famiglia Iddio ha sapientemente unite due tra le maggiori realtà umane: la missione di trasmettere la vita e l’amore vicendevole e legittimo dell’uomo e della donna, per il quale essi sono chiamati a completarsi vicendevolmente in una donazione reciproca non soltanto fisica, ma soprattutto spirituale”. In tal modo, Dio “ha voluto rendere partecipi gli sposi dell’amore personale che Egli ha per ciascuno di essi e per il quale li chiama ad aiutarsi e a donarsi vicendevolmente per raggiungere la pienezza della loro vita personale; e dell’amore che Egli porta all’umanità e a tutti i suoi figli, e per il quale desidera moltiplicare i figli degli uomini per renderli partecipi della sua vita e della sua felicità eterna” (12 febbraio 1966). Allo stesso tempo, Papa Francesco ha voluto riaffermare che questa chiara scelta della Chiesa a sostegno della famiglia naturale non implica alcuna esclusione verso altri che vivano situazioni diverse, in contrasto col disegno divino sull’umanità e il suo sviluppo, e che comunque “continuano ad essere oggetto dell’amore misericordioso di Cristo e perciò della Chiesa stessa”. Scommettere sulla famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna non è contro nessuno, ma a favore di tutti perché l’unione matrimoniale di un uomo e di una donna, vissuta nella fedeltà e aperta alla procreazione, è garanzia della crescita autentica dell’umanità e della socialità di ciascuno. Nel sostenere la famiglia “società naturale fondata sul matrimonio” sarà, insomma, la “res publica” tutta intera a trarne vantaggio per il suo presente e il suo futuro. 

Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto
Il Sole 24 Ore, Domenica 31 gennaio 2016