Fare il bene fa bene

fare-il-bene 

 Fare il bene non solo è bene, ma fa bene

C’è una parola che ricorre frequentemente nel linguaggio della fede e che solleva anche una certa curiosità in chi non è religioso: è la parola “penitenza”. L’etimologia del termine rimanda al latino “paenitentia”, vocabolo scritto anche con un differente dittongo iniziale: “poenitentia”. Questa seconda modalità sembra collegare la parola al termine “poena”, a significare che fa penitenza chi si sottomette a una pena in espiazione delle proprie colpe. Una simile etimologia è però infondata, basata com’è unicamente sull’assonanza fra i termini “penitenza” e “pena”, che non hanno fra loro relazione filologica. Il significato autentico di “paenitentia” è quello di un allontanamento volontario dal male e di una sincera conversione al bene, nel medesimo senso in cui si usa in greco la parola “metánoia”: penitenza dice un cambiamento in cui il “no” a un agire passato si unisce al “sì” a un diverso futuro, nella consapevolezza di una decisione che fa del presente un tempo di rinnovamento e di liberazione. Riconoscimento, riconoscenza e desiderio sono dunque i tre ambiti di significato che abbraccia l’idea di penitenza: proprio così, un’idea feconda per tutti, anche in questo nostro presente. Anzitutto, la penitenza nasce da un atto di riconoscimento: fa penitenza, decide cioè di operare un cambiamento radicale nella propria vita a partire dagli orientamenti più profondi delle scelte da fare, chi prende coscienza che il proprio modo di essere e di agire deve essere modificato. Le ragioni di questa presa d’atto sono spesso collegate a un senso di disagio e d’insoddisfazione: si sta male e si vorrebbe migliorare. Riconoscimento vero e fecondo alla base della penitenza, però, è solo quello che nasce da una valutazione morale, dal riconoscere cioè che alcuni dei propri atti o modi di comportarsi non sono conformi alla coscienza e alla legge morale che essa porta inscritta in sé. Ciò esige, anzitutto, il coraggio di darsi tempo, di riflettere su se stessi e la propria vita, di lasciarsi giudicare dalla luce della verità e del bene. In questa prospettiva, si comprende come un cammino di penitenza possa partire solo da un esame della propria coscienza fatto senza alibi e meccanismi di difesa davanti alle esigenze etiche, quali sono espresse nella maniera più concisa e autorevole da quella voce universale del bene da farsi e del male da fuggire che sono le Dieci Parole, i comandamenti che la tradizione ebraico-cristiana ha consegnato al mondo. A motivare la decisione morale non basta, però, il riconoscimento: solo dove esso si congiunge alla riconoscenza per i benefici di cui ci si sente destinatari, si è spinti a decidersi al bene da una convinzione interiore salda e duratura. Solo chi si riconosce amato è in grado di amare! Quest’aspetto è di fondamentale importanza nell’ambito dell’educazione morale: s’impara a fare il bene molto di più perché attratti dalla sua bellezza e dai frutti che esso porta al cuore e alla vita, che non dal timore del castigo o in generale da una minaccia da eludere. Ecco perché la penitenza è anzitutto cammino di risposta, corrispondenza a un dono di cui ci si riconosce debitori, ascolto della voce, in cui si coglie la sorgente del dono stesso. La dimensione spirituale e religiosa della penitenza emerge qui in piena luce: con linguaggio biblico, si può dire che solo dove è celebrata l’alleanza fra l’interlocutore divino e il partner umano l’esigenza morale si offre in piena evidenza, quasi che essa venga a brillare nell’arco di fiamma della relazione di dono e d’accoglienza, vissuti nella piena consapevolezza dell’asimmetria del rapporto in cui il Creatore supera sempre immensamente la creatura. L’obiezione che si potrebbe avanzare è che una tale prospettiva escluderebbe la presenza della decisione morale per il bene lì dove non vi sia riconoscimento dell’autorità divina. In realtà non è così, perché ciò che è richiesto per fondare l’esigenza etica è la percezione di un imperativo categorico, proveniente da una fonte non negoziabile, quale ad esempio l’etica kantiana ha proposto in maniera rigorosa. Resta comunque vero che il riferimento a Dio e al Suo comandamento rende esplicita l’esigenza morale e aiuta la coscienza dubbiosa nel compito di riconoscere il bene da farsi e il male da fuggire. Infine, la penitenza richiede un ampio spazio riservato al desiderio: è il campo non solo del proposito da prendere, ma anche dell’attesa di felicità di cui è colmo il cuore umano e che ispira anche ogni decisione morale. Fare il bene non solo è bene, ma fa bene! Scrive Sant’Agostino: “Il desiderio è la preghiera interiore che non conosce interruzione. Qualunque cosa tu faccia, se desideri quel sabato, non smetti mai di pregare ... Il tuo desiderio continuo sarà la tua continua voce. Tacerai se cesserai di amare ... Il gelo della carità è il silenzio del cuore; l'ardore della carità è il grido del cuore. Se sempre permane la carità, tu sempre gridi; se sempre gridi, sempre desideri; e se desideri, ti ricordi della pace ... Se dentro al cuore c'è il desiderio, c'è anche il gemito; non sempre giunge alle orecchie degli uomini, ma mai resta lontano dalle orecchie di Dio” (Commento al Salmo 37, 14). E circa l’impazienza di chi desidera di fronte al ritardo dell’esaudimento il Vescovo d’Ippona altrove aggiunge: “Dio con l’attesa allarga il nostro desiderio, col desiderio allarga l’animo e dilatandolo lo rende più capace. Viviamo, dunque, di desiderio poiché dobbiamo essere riempiti … In questo consiste la nostra vita: esercitarsi col desiderio” (Commento alla I Lettera di Giovanni, 4,6). La penitenza - cammino di decisione, di riconoscimento e di riconoscenza - è inseparabilmente esercizio del desiderio: un esercizio che fa già pregustare qualcosa della bellezza agognata e proprio così motiva l’impegno ad andarle incontro con segni inequivocabili di attesa. Resta, però, l’interrogativo inquietante: chi fra i protagonisti del nostro presente, soprattutto nella scena pubblica e in particolare in quella politica, è pronto a fare un tale cammino?

Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti-Vasto

(Il Sole 24 Ore Domenica 19 Marzo 2017)