Il "nuovo umanesimo"
“Molto spesso, negli interventi pubblici sin qui pronunciati, ho evocato la formula di un nuovo umanesimo: non ho mai pensato fosse lo slogan di un governo, ma l’orizzonte ideale del Paese”. Così si è espresso Giuseppe Conte dopo aver ricevuto l’incarico di formare il nuovo governo dal Capo dello Stato. Per comprendere che cosa Conte intenda dire, bisogna tener conto di due fattori: da una parte la sua formazione, legata tra l’altro al mondo spirituale e culturale di quella Villa Nazareth dove - col sostegno e l’ispirazione di figure come il Card. Achille Silvestrini, morto a fine agosto - è stata data a tanti giovani universitari la possibilità di prepararsi ad offrire un serio contributo etico e professionale al futuro del Paese; dall’altra, occorre considerare il dibattito sul concetto stesso di “nuovo umanesimo”, cui ha dedicato un interessante lavoro Michele Ciliberto (Il nuovo Umanesimo, Laterza, Bari 2017) e di cui si occupa anche il recente saggio di Massimo Cacciari, intitolato La mente inquieta (col sottotitolo Saggio sull’Umanesimo, Einaudi, Torino 2019). Per semplificare, si potrebbe parlare delle due anime del concetto di “nuovo umanesimo”: quella di ispirazione cristiana e quella “laica”, che non rinnega in alcun modo legami con la prima. Nella visione cristiana l’idea è fondata sulla centralità dell’uomo “immagine di Dio” e sulla conseguente dignità inalienabile della persona umana, libera e responsabile. È l’idea che è stata al centro anche del Convegno della Chiesa italiana, tenutosi a Firenze nel 2015, il cui tema era appunto “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”. In quell’occasione, Papa Francesco ebbe a dire: “Gesù è il nostro umanesimo ... Il volto di Gesù è simile a quello di tanti nostri fratelli umiliati, resi schiavi, svuotati. Dio ha assunto il loro volto. E quel volto ci guarda”. Partendo da questo fondamento evangelico, il Papa aggiunse: “Non voglio qui disegnare in astratto un ‘nuovo umanesimo’, una certa idea dell’uomo, ma presentare con semplicità alcuni tratti dell’umanesimo cristiano che è quello dei ‘sentimenti di Cristo Gesù’ (Fil 2,5). Essi non sono astratte sensazioni provvisorie dell’animo, ma rappresentano la calda forza interiore che ci rende capaci di vivere e di prendere decisioni”.
Nell’elencare questi sentimenti, Francesco delineava uno stile di Chiesa, eloquente per tutta la società: “L’ossessione di preservare la propria gloria, la propria dignità, la propria influenza non deve far parte dei nostri sentimenti. Dobbiamo perseguire la gloria di Dio, e questa non coincide con la nostra… Dobbiamo cercare la felicità di chi ci sta accanto. L’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale. Quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di se stesso, allora non ha più posto per Dio. Evitiamo di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli”. Il compito che ne risulta è quello di vivere la solidarietà e la condivisione come indifferibile urgenza: “Gesù parla della felicità che sperimentiamo solo quando siamo poveri nello spirito. Per i grandi santi la beatitudine ha a che fare con umiliazione e povertà. Ma anche nella parte più umile della nostra gente c’è molto di questa beatitudine: è quella di chi conosce la ricchezza della solidarietà, del condividere anche il poco che si possiede; la ricchezza del sacrificio quotidiano di un lavoro, a volte duro e mal pagato, ma svolto per amore verso le persone care; e anche quella delle proprie miserie, che tuttavia, vissute con fiducia nella provvidenza e nella misericordia di Dio Padre, alimentano una grandezza umile”. Una tale concezione del “nuovo umanesimo” è agli antipodi delle logiche sovraniste, fondate sull’affermazione del primato assoluto dell’identità e sulla valutazione dei bisogni altrui a partire esclusivamente dalla difesa dei propri interessi. Se questo è il genere di “nuovo umanesimo” cui Conte intende ispirarsi, sarà necessario che il suo governo riveda posizioni quali quelle consegnate al recente decreto sicurezza, più volte espresse dal Ministro Salvini nei confronti della questione migratoria. Se i morti degli ultimi mesi nel Mediterraneo si contano a centinaia, non è possibile barricarsi in posizioni difensive verso che viene a bussare alle nostre porte, in fuga da fame e morte o anche solo alla ricerca, pagata a caro prezzo, di un futuro migliore. Occorre rivedere norme e trattati internazionali e coinvolgere decisamente l’Unione Europea in politiche di accoglienza e di ridistribuzione dei rifugiati e degli immigrati, che siano rispettose della loro dignità di esseri umani. Diversamene, parlare di “nuovo umanesimo” resterebbe retorica facile.
Anche a partire da una visione “laica” l’idea di “nuovo umanesimo” evidenzia urgenze morali e politiche indifferibili: come mostra Ciliberto nel suo saggio, “l’Umanesimo è tornato attuale perché si è riaperto, in maniera drammatica e in forme del tutto nuove, il problema della condizione umana” (64). In un mondo come il nostro “che si divide in forme sempre più feroci, nel quale le differenze di religione o di razza generano conflitti sanguinosi” (63 s.), l’Umanesimo testimonia il valore della tolleranza, che non è solo passiva accettazione, ma positivo riconoscimento della dignità dell’altro. Ne consegue la necessità di coniugare lucidità di analisi e di proposte con “la capacità di non cedere all’esistente, proponendo sempre nuove prospettive politiche, religiose, artistiche, salendo senza timore anche nella dimensione dell’utopia, del mito, perfino del sogno” (59). Da par suo, Cacciari, presentando l’umanesimo come “età di crisi, età assiale, in cui il pensiero si fa cosciente della fine di un Ordine e del compito di definirne un altro”, rende avvertiti che parlare di nuovo umanesimo significa essere coscienti del cambiamento d’epoca in cui ci troviamo e della conseguente esigenza di cercare soluzioni ai problemi non di semplice difesa e conservazione, ma di largo respiro e di responsabile condivisione. È quanto l’espressione più volte usata chiede ora al Presidente Conte di mettere in atto, con decisione e coraggio. È quanto non possiamo non augurargli di fare per il bene del Paese e il suo futuro, nel contesto di un’Europa solidale e coesa a partire dalle radici ispirative, radicate nel cristianesimo, delle idee dei suoi grandi Padri fondatori.
Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti-Vasto
Corriere della Sera, 4 settembre 2019