Ora è il momento di andare verso gli altri

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In questa Pasqua 2021 vorrei riprendere alcune domande, che molti - credenti e non credenti - si sono poste in questo tempo segnato dalla pandemia: come credere in Dio in una società messa così duramente alla prova dal flagello dovuto al CoVid19? Come riportare a un cammino condiviso di fede tanti, specialmente giovani, che da mesi non si vedono più nelle nostre Chiese e sembrano aver tagliato i ponti con la vita ecclesiale, nella quale pure erano stati formati? A queste domande - vitali per un popolo come il nostro, che si è nutrito per secoli della fede cristiana - provo a rispondere indicando tre piste che mi sembra urgente percorrere: in primo luogo, ritengo necessario che la comunità ecclesiale si impegni in uno sforzo audace e creativo di nuova evangelizzazione; mi sembra, poi, più che mai urgente ritornare a parlare delle “realtà ultime”, che nella società dei consumi sembravano scomparse dal dibattito pubblico; infine, mi pare importante riscoprire quella lettura dei “segni dei tempi”, in cui si era tanto impegnato il Concilio Vaticano II, per riconoscere l’“oggi” di Dio nelle nostre vite e nella storia del mondo.

 

Che urga una nuova evangelizzazione si può facilmente costatare: la reazione di molti credenti alla prova della pandemia è stata quella di chiudersi nel privato dei propri affetti e della personale intimità col Signore. Da ciò si potrebbe dedurre che la loro formazione non sia stata tale da spingerli a testimoniare in maniera pubblica e convinta il Risorto, spendendosi il più possibile nell’offrire carità e speranza a chi è stato colpito. Se così fosse, sarebbe più che mai urgente riproporre a tutti la “viva vox Evangelii”, la fede in Colui che non è venuto per essere servito, ma per servire e chiamare chi crede in Lui a mettersi in gioco senza risparmio nel campo della carità e della solidarietà verso i più deboli. Come attrarre chi si è dileguato, specialmente fra i giovani, perché si faccia partecipe e protagonista di un nuovo slancio caritativo e missionario? Quali linguaggi e canali trovare per ristabilire un ponte comunicativo con chi si è allontanato? Come annunciare la gioia evangelica dell’impresa comune e sollecitare al servizio del bene di tutti chi, impaurito e provato, ha preferito chiudersi in sé stesso o nella piccola cerchia dei propri affetti, in atteggiamento di rassicurazione e di difesa? La risposta del Vangelo è chiara: vivere quanto è avvenuto e ancora sta avvenendo seguendo il Signore Gesù esige di uscire da noi stessi e andare verso gli altri. La “Chiesa in uscita” è quella su cui Papa Francesco continuamente ritorna nei suoi appelli: si tratta di uno stile di vita ecclesiale che richiede una profonda conversione pastorale e che non potrà profilarsi senza una rinnovata effusione di luce e di forza dall’alto e una sincera decisione del cuore.

 

In particolare, questo rinnovato impegno di evangelizzazione dovrà riproporre le realtà ultime, rischiarate dalla promessa di Dio e dalla risurrezione di Gesù: l’edonismo e il consumismo rampante, che dominavano l’opinione pubblica prima della pandemia, sono stati smentiti dall’esperienza drammatica di fragilità e d’impotenza di fronte al male che abbiamo vissuto. È emerso con chiarezza che abbiamo tutti bisogno dell’ultimo orizzonte per misurare la verità e la consistenza delle nostre scelte. Non si può vivere inseguendo il piacere, come se consumare e godere possano dare vero senso e bellezza alla vita. Occorre riscoprire il fascino della sobrietà e del sacrificio in vista del bene di tutti. Occorre sbugiardare i falsi miti della corsa al possesso e al piacere, educati dall’esperienza della malattia, del dolore e della morte, che la pandemia ci ha fatto fare. Come Chiesa dobbiamo ritrovare la passione e lo slancio di annunciare che Colui, che è venuto a salvarci, tornerà nella gloria e che solo l’orizzonte del Suo ritorno illumina di senso vero e pieno il nostro cammino nel tempo: come afferma l’Apocalisse (1,5-8), consegna profetica con cui si chiude la Bibbia, solo Cristo è «il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra» e solo in Lui il futuro ultimo è garantito come domani di bene, perché Lui è «l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!».

 

Infine, occorre riscoprire la bellezza e la forza dell’“oggi” di Dio, reso presente dal Risorto nelle nostre vite e nella storia del mondo. Nell’annuncio che il Nazareno fa nella Sinagoga di Nazareth risuona il richiamo a quest’“oggi”: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore… Oggi si  è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,16-21). L’“oggi” di Dio è l’“oggi” di ciascuno di noi da Lui visitato, l’umile e tante volte faticoso “oggi” che siamo chiamati a vivere, trasfigurandolo dall’interno con la fede, la speranza e l’amore. Certo, riconoscere nella pandemia l’“oggi” di Dio può non essere facile, ma vuol dire credere e testimoniare che nulla è perduto sul piano della grazia, che la provvidenza e la misericordia del Signore non ci abbandonano mai, che nulla può sminuire il valore di ogni singola esistenza umana e il dovere che ne consegue di vivere in pienezza ogni istante del nostro cammino, spendendolo al servizio del bene, davanti a Dio e per il prossimo. La pandemia, insomma, ci chiama a rinnovare e convertire il nostro cuore per abitare l’attimo presente come risposta d’amore al bisogno degli altri e al Dio vivente, che in loro ci chiama. È quanto a Lui chiedo per tutti, nella fiducia che in questa Pasqua Egli voglia trasfigurare con noi la fatica dei giorni in aurora di luce.

 

Bruno Forte

Arcivescovo di Chieti-Vasto