Fame zero

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La sfida del Family Farming “Fame zero”: il ritorno alla terra non è utopia

(Il Sole 24 Ore, Domenica 9 Novembre 2014, 1 e 18)

di Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti-Vasto

 

Si avvicina al termine il 2014, che le Nazioni Unite hanno dichiarato “International Year of Family Farming”, “Anno Internazionale dell’Agricoltura Familiare“, con lo scopo di sollecitare l’attenzione mondiale sull’enorme contributo offerto dagli agricoltori alla lotta alla fame ed alla preservazione delle risorse naturali. Si calcola che sul pianeta vi siano oltre 500 milioni di aziende agricole a conduzione familiare, in grado di produrre cibo per miliardi di esseri umani. In non pochi paesi queste agenzie produttive coprono da sole le percentuali più alte del fabbisogno alimentare. Il Direttore Generale della FAO, José Graziano da Silva, ha affermato in proposito: “Con la decisione  di celebrare quest’anno abbiamo voluto riconoscere il ruolo centrale dell’agricoltura familiare nel  fare fronte alla doppia emergenza che il mondo si trova oggi ad affrontare: migliorare la sicurezza  alimentare e preservare le risorse naturali, in linea con gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, il  dibattito sull’agenda post-2015 e la Sfida Fame Zero”. Da parte mia, confesso di non aver prestato  particolare attenzione a questa sollecitazione, pur essendo vescovo di una diocesi estesa che,  accanto a sviluppate aree industriali, presenta ampie zone di coltivazioni agricole, con punte di  eccellenza nella produzione di olio e di vino, di frutta e ortaggi. A richiamare la mia attenzione  sull’importanza dell’agricoltura familiare sono stati da una parte gli operatori di questo settore  presenti sul territorio della mia diocesi, dall’altra la lettura di un libro, a metà fra saggio e romanzo,  intitolato “Questa nostra buona terra” (Edizioni Magma - Fondazione Mediterraneo), scritto da  Maria Pia Giudici, una religiosa salesiana che ha dato vita presso Subiaco ad un’oasi di spiritualità,  dove si coniuga l’amore alla Bibbia al rapporto intenso con la natura e la bellezza del creato. Tre  aspetti mi hanno colpito nell’appassionato appello a tornare alla terra che vi ho trovato.  Il primo è la ricaduta economica e politica della produzione alimentare assicurata  dall’agricoltura familiare: in una comunità internazionale che resta ancora lontana dall’obiettivo -  condiviso a parole da tutti i grandi della terra - della “fame zero”, un’attenzione adeguata alla  modernizzazione dei sistemi di produzione agricola, coniugata a opportuni sostegni legislativi a  favore di chi sceglie di operare in questo campo, potrebbe segnare la svolta necessaria a raggiungere  quozienti di prodotto alimentare vantaggiosi per tutti. Lo stesso Direttore della FAO ha affermato:  “Dobbiamo rimettere l’agricoltura familiare al centro dei programmi di sviluppo nazionali e  regionali… Questo significa offrire assistenza tecnica e politiche in supporto della produttività delle  aziende agricole a conduzione familiare; mettere alla loro portata di mano tecnologie appropriate;  migliorare il loro accesso alla terra, alle risorse idriche, al credito e ai mercati; creare un ambiente  favorevole per ulteriori investimenti”. Le motivazioni di quest’appello non risiedono soltanto nel  vantaggio in termini di soddisfacimento dei bisogni, che l’agricoltura familiare comporta, ma anche  nel valore aggiunto che essa offre di raggiungere lo scopo dell’equa e necessaria distribuzione del  nutrimento nel rispetto dell’ambiente e dei suoi ritmi naturali di sviluppo.  Emerge qui il secondo aspetto dell’importanza di un “ritorno alla terra”: la sua sostenibilità  in termini ecologici. Nel “villaggio globale”, in cui il mantenimento di parametri salutari per  l’ecosistema, rispettosi delle identità ambientali, viene giustamente avvertito come urgenza  prioritaria, il ritorno al lavoro della terra in proporzioni significative è tutt’altro che secondario.  L’agricoltura familiare, insomma, va promossa e incoraggiata non solo per la sua capacità di dare  risposta ai bisogni, ma anche perché rappresenta un tipo di attività produttiva capace di  corrispondere adeguatamente alle esigenze della tutela ambientale. Ricorrere in maniera propositiva  e ben articolata alla “buona terra”, per ottenerne i frutti necessari al fabbisogno alimentare degli  esseri umani, significa contribuire a conservare “buona” la terra e a promuoverla nelle  caratteristiche che la rendono ambiente fecondo per la qualità della vita di tutti. Ha affermato ancorail Direttore Generale della FAO: “L’agricoltura familiare è ciò che più si avvicina al paradigma  della produzione alimentare sostenibile. Gli agricoltori familiari si occupano generalmente di  attività agricole non specializzate e diversificate che conferiscono loro un ruolo centrale per la  sostenibilità ambientale e la conservazione della biodiversità”.  Accanto all’aspetto economico-sociale e a quello ecologico-ambientale, c’è infine un profilo  spirituale e morale da evidenziare: l’agricoltura familiare si basa sull’importanza fondamentale del  potenziale umano dei suoi protagonisti e delle loro relazioni vitali. Lavorare la terra esige  collaborazione e condivisione, nella partecipazione equa agli utili della produzione: lungi da ogni  massificazione anonima, la conduzione familiare delle aziende agricole favorisce una ricca  personalizzazione dei rapporti e l’elaborazione di strategie relazionali, che vanno dalle formule  cooperative a quelle del coinvolgimento di tutte le componenti del nucleo familiare, nella diversità  delle età e delle potenzialità disponibili. A sua volta, l’aspetto morale del “ritorno alla terra” è reso  dal libro della Giudici nella forma di una denuncia e di una proposta. La denuncia può essere  espressa con le parole di papa Francesco nell’Esortazione Apostolica “Evangelii Gaudium”:  “Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano  sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice... In questo sistema, che tende a  fagocitare tutto al fine di accrescere i benefici, qualunque cosa che sia fragile, come l’ambiente,  rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta” (n. 56).  La proposta va in una direzione che può apparire utopica, e di cui però il “ritorno alla terra”  potrebbe costituire una concreta forma di attuazione: rimettere al centro la persona del lavoratore e  il suo diritto a rapportarsi da protagonista al prodotto del proprio lavoro, per riceverne i benefici  corrispondenti e assumersi le responsabilità connesse in vista della propria realizzazione,  inseparabile dalla relazione feconda con gli altri, da quella rispettosa all’ambiente e dalla  promozione del bene comune. Perché, come scrive Sr. Maria Pia Giudici, la terra, “se curata a  dovere, non solo preserva il pianeta dalla sua distruzione, ma riaccende nell’uomo d’oggi il gusto  della vita, con la ricchezza delle relazioni umane, dell’amicizia, dell’aiuto scambievole, di antichi e  sempre nuovi interessi, di famiglie nuove dove l’amore è fedele, alimentato da un Dio fedele  all’uomo” (101s).