LA VENUTA DEL SIGNORE

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VENUTA SIGNORE

 

La raffigurazione, completamente diversa da quelle cui ormai siamo abituati, riguarda la Parusia, ossia la seconda Venuta del Signore alla fine del mondo come è presentata nelle pagine dei Vangeli di Matteo, Marco e Luca, pagine che nel rito ambrosiano [1] si leggono in occasione della prima domenica di Avvento che rispetto al rito romano inizia con la prima domenica dopo la festa di San Martino che cade sempre l’11 novembre. Nei secoli passati segnava anche la fine dell’anno sociale e civile.

Il dipinto è ricco di simboli e colori che hanno il solo scopo di esaltare il figlio dell’uomo che sta per venire sopra le nubi del cielo con grande potenza e gloria (Mc 13,26).

Al centro è raffigurato Gesù. Non ha l’abituale veste rossa e blu che vediamo negli altri dipinti e che sottolineano il suo essere sommo sacerdote. Qui lo vediamo con un ampio vestito dallo splendido e luminoso giallo del sole (uno dei simboli rappresentativi di Gesù) come è già stato dipinto nell’Icona del Precursore. Ha un viso dai tratti delicati e sereni che rivelano la sua bellezza e la sua bontà. Non un viso di uno che giudica, ma di uno che ama infinitamente le sue creature. La sua aureola è in oro zecchino e porta tre lettere greche antiche che dicono era, è, sarà definizione che si trova nel libro dell’Apocalisse 4,8 per parlare di Dio rifacendosi alla rivelazione fatta a Mosè nel roveto ardente.

 

Il Figlio dell’Uomo è seduto su un ricco trono bizantino decorato da preziose gemme e calza ricche calzature di colore rosso. Non è più a piedi nudi come in tutte le altre raffigurazioni.

 

La sua mano destra che viene abitualmente definita la mano della misericordia è benedicente (con le tre dita secondo l’uso ortodosso).

 

Con la sinistra tiene bene in vista un evangelario, come spesso vediamo in tanti antichi mosaici e icone. Tale raffigurazione ci obbliga a qualche informazione. Il dipinto ci presenta uno dei pezzi più preziosi del Tesoro del Duomo di Milano. È lo splendido copertura in lamina d’oro della sovracoperta commissionata da Ariberto da Intimiano, arcivescovo di Milano dal 1018 al 1054, per contenere l’Evangelario da lui donato alla nostra cattedrale attorno al 1034. Un’opera con splendide lavorazioni in stile bizantino che sottolineano la centralità di Cristo crocifisso e della salvezza offerta all’uomo tramite il sacrificio della croce, raffigurato al centro della copertura [2].  Chiaro il richiamo storico e lo stretto legame tra la Chiesa ambrosiana e la sua Cattedrale di cui fa parte la Comunità della basilica dei SS. Martiri Nereo e Achilleo.

 

Da notare che Gesù non presenta quella che noi chiamiamo la copertina dell’Evangeliario, bensì la quarta di copertina perché il Vangelo – che nell’affresco del catino dell’abside della Basilica opera di Vanni Rossi era aperto per indicare che Gesù è il signore della storia, il suo Vangelo aperto recita “Ego sum vita” – qui è chiuso perché questa è la seconda e ultima venuta di Gesù alla fine del mondo. Il tempo è concluso, anche il Vangelo ormai è chiuso, è il tempo del giudizio universale.

 

La figura di Gesù è inserita in un doppio, irregolare e insolito riquadro romboidale. Nel primo vediamo quattro lettere greche che abbreviano il suo nome (“Gesù”, guardando sulla sinistra e “Cristo” sulla destra), immagini dei Serafini dal colore rosso e rosa con una insolita cromia che ricorda il fuoco. Sono raffigurati con sei ali – come dice Isaia 6,1 - racchiuse che nascondono parzialmente il loro viso. Secondo la tradizione i Serafini eccellono nell’amore di Dio e nella gerarchia celeste sono gli angeli più vicini a Dio.

 

Nel secondo i simboli dei quattro Evangelisti così come sono allusi nel libro dell’Apocalisse 4,6-7 che si rifà a sua volta al passo del profeta Ez 1,5-6.10 [3]: in senso orario l’angelo (Matteo), il bue (Luca, definito da Dante nel De Monarchia, Scriba mansuetudine Christi, perché nel suo vangelo narra le parabole della misericordia: il figliol prodigo, il buon samaritano), il leone (Marco) e l’aquila (Giovanni – l’aquila vola più in alto di tutti i volatili e può fissare il sole). Il primo scrittore cristiano ad unire i 4 simboli ai 4 evangelisti fu S. Ireneo di Lione (130-202 d.C.), ripreso poi da San Gerolamo (347-420) [4]. Significativo e catechetico questo insieme di immagini che richiamano il ruolo della Chiesa apostolica che accompagna il ritorno di Cristo come Signore della storia e del mondo. Ai piedi di Gesù due angeli dalle verdi vesti sostengono un vistoso cartiglio con la scritta: VEDRANNO IL FIGLIO DELL’UOMO VENIRE SULLE NUBI DEL CIELO che riproduce la conclusione della pagina del Vangelo della prima domenica d’Avvento nel rito Ambrosiano in tutti e tre i sinottici: Mt 24,30; Mc 13,26; Lc 21,27.

 

Sopra la testa di Gesù decorata dall’abituale ricca aureola dorata eseguita con la tecnica dello stiacciato, sono raffigurati, personificati, il sole e la luna citati nel passo di Vangelo raffigurato nell’icona. Un’immagine spesso rappresentata nei dipinti della Crocifissione, ma che qui, come spiegato da Origene (teologo dei primi secoli del Cristianesimo) identifica il sole con Cristo stesso e la luna con la Chiesa.

 

Un turbinio di angeli in volo in uno sfondo di un cielo dall’intenso e scuro blu notte, due con trombe (Mt 24,31); altri con i simboli del fuoco, dell’acqua, della terra e dell’aria, i quattro elementi individuati fin dal V sec. a.C. da Empedocle come le “radici dell’universo”. Tutto il mondo, tutto l’universo deve comparire davanti al Figlio dell’Uomo per essere giudicato sui valori e i principi raccolti nel libro del Vangelo.

Gli angeli e il creato, tutti fanno da corona e esaltano la gloria di Gesù, perfetto rivelatore del volto del Padre.

 (L. Bissoli)
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[1] Nel ciclo liturgico triennale si legge nell’Anno A: Mt 24,1-31, nell’Anno B: Mc 13,1-27; nell’Anno C: Lc 21,5-28.

 

[2] La tomba di questo notissimo Arcivescovo, ricordato anche per il Carroccio, si trova nella prima campata della navata esterna destra del Duomo ed è sormontata da una copia del celebre crocifisso (l'originale si trova nel Museo del Duomo).

 

[3] Il “Carro di Dio” descritto dal profeta Ezechiele (Ez 1, 4-10) viene trasportato da quattro creature tetramorfe, cioè che hanno una testa con quattro facce: Al centro, una figura composta di quattro esseri animati, di sembianza umana con quattro volti e quattro ali ciascuno. (…) Quanto alle loro fattezze, avevano facce d’uomo; poi tutti e quattro facce di leone a destra, tutti e quattro facce di toro a sinistra e tutti e quattro facce d’aquila (Ez 1, 5-6.10).

 

[4] Secondo altri autori, come Ambrogio (337-397), Gregorio Magno (540-604), Honorio de Autun (detto anche Onorio di Ratisbona: sec XII), le figure dei quattro esseri viventi esprimerebbero la totalità del mistero di Gesù: l’incarnazione (l’uomo=, la Passione Gesù (il bue), la Resurrezione (il leone) e l’Ascensione (l’aquila). Le quattro figure, dunque, simboleggiano le quattro fasi della vita di Cristo, sintetizzate con questa formula: “Fuit homo nascendo, vitulus moriendo, leo resurgendo, aquila ascendendo” (nato come uomo, morì come un vitello sacrificale, fu leone nel risorgere e aquila nella sua ascensione).